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sabato 6 febbraio 2016

In merito alla Maternità e alla Paternità

«Ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia» (Os 11,4)


di Francesco Andrighetti

L’uomo è un amante perché è amato. L’essenza dell’uomo, il suo bisogno viscerale di amare, ha origine da quell’atto d’amore che ne decide il suo camminare nell’essere. All’origine dell’uomo, della sua vita, c’è un essere amato dall’esterno: sempre e comunque amato. Qualunque siano le nostre origini – ed esse sono sempre un mistero –, ciò che decide il nostro esserci è un atto d’amore: generati dall’unione integrale di due umanità differenti, comunque attesi e portati nel grembo, siamo il frutto di un grande sacrificio e di un disumano dolore sopportabile da una donna solo perché pieno di desiderio. Questa è la verità dell’uomo. Questa è la certezza che deve rimanere per regolare la nostra capacità di autodeterminarci nella realtà. La libertà dell’uomo deve fare i conti con questa verità: esiste una libertà, un atto d’amore, fuori da una verità? 

Quando questa verità profonda è sottovaluta e dimenticata o, peggio ancora, confusa e nascosta, si può ancora parlare di un uomo capace di compiere degli atti veramente umani, conformi alla propria dignità, al proprio bene? Un uomo che non si conosce può ancora compiere sé stesso? Potrebbe ancora la libertà implicarsi adeguatamente con la realtà? Quale umanità può dirsi umana se è disposta a mercificare, dimenticare e annubilare l’origine del proprio amare, del proprio essere amante? Può forse l’uomo diventare uomo senza aver chiaro l’atto d’amore che sempre e comunque lo ha portato ad affacciarsi sul mondo? Potrà ancora per tanto tempo una donna compiere senza desiderio quel sacrificio d’amore che ci mette in vita? Si potrà ancora parlare di un amante quando questi non sarà più il frutto dell’amore? Si può davvero dividere, senza far danni, l’atto con cui si genera l’amante da un’amorosa volontà di vita sull’amante stesso? Fino a che punto si potrà creare una confusione sull’origine della vita umana?

La realtà non è tutta uguale. Solo una madre potrà colmare l’eventuale assenza di colei che ci ha generato. Solo un altro ventre femminile, fatto per accoglierci, potrà colmare l’assenza di colei che ci ha sollevati alla sua guancia per la prima volta, mostrandoci l’Amore. Quale donna, tuttavia, potrebbe colmare il grande dono della paternità? Non è forse questa primordiale alterità maschile che ci “insegna a camminare tenendoci per mano” (Os 11,3) sul lungomare mare del mondo verso la patria eterna? Non è forse una chiara percezione dell’essenziale differenza dell’umanità, l’essere uomo o donna, che permette di cogliere la verità di noi stessi? Oltre la differenza, solo Dio, altrimenti, basta. Solo Lui, Amore trinitario e modello dell’unione tra l’uomo e la donna, infatti, può colmare questa esigenza di verità. Nessun’altro. Nessuna soluzione o sforzo umano. Egli solo può venire incontro alla povertà umana, alla fragilità del nostro amore, consolando quella mancanza che talvolta appare nelle vite degli uomini e nelle nostre famiglie. Nessuno può negare la realtà, modificarla e pensare che non si distrugga, neppure Dio che ne è il creatore. Questo è il mistero della libertà che abita l’Amore, quell’Amore che, pur di lasciar essere, rinnega sé facendosi inchiodare sulla croce.

Quale umanità stiamo creando? Non si tratta di giudicare l’uomo nella sua fragilità e nel suo errare negli affetti, ma di aiutare a fare verità perché egli riesca a vivere una vita più bella. Il cristiano, per grazia immerso nell’Amore, deve essere, per il mondo, memoria, splendore della bellezza della verità. Ma come può il cristiano fare verità sull’amore umano, sull’origine della vita e su ciò che lo tieni in piedi specialmente nelle fasi più delicate dell’esistenza? Potrà forse una legge umana salvare la famiglia? Basterà forse una battaglia tra piazze per salvare l’uomo da sé stesso? Forse utile, ma sarà sufficiente? Subito dopo ci si dovrà scontrare con l’inesorabile quotidianità e, un giorno, Dio non voglia, con delle leggi umane che legittimeranno la totale distruzione dell’uomo amante. Come fare? Torna alla mente Giovanni Paolo II, il 29 maggio 1994: «Ho capito che devo introdurre la Chiesa di Cristo in questo Terzo Millennio […] con la sofferenza, con l’attentato di tredici anni fa e con questo nuovo sacrificio. […] Perché in questo Anno della Famiglia? Appunto perché la famiglia è minacciata, la famiglia è aggredita. Deve essere aggredito il Papa, deve soffrire il Papa, perché ogni famiglia e il mondo vedano che c’è un Vangelo, direi, superiore: il Vangelo della sofferenza, con cui si deve preparare il futuro, il terzo millennio delle famiglie, di ogni famiglia e di tutte le famiglie. […] Di nuovo devo incontrare questi potenti del mondo e devo parlare. Con quali argomenti? Mi rimane questo argomento della sofferenza». La famiglia, dunque l’uomo, si salverà solo con il sacrificio, la più alta forma di testimonianza. Offrire la vita, la fragilità, il dolore, la fatica, la giornata, il lavoro, gli affetti: solo con l’offerta di sé, la famiglia, fondata sull’amore unico, indissolubile e potenzialmente fecondo tra l’uomo e la donna, potrà essere ancora segno visibile dell’Amore di Dio e strada per il compimento. Su imitazione di Cristo, l’offerta di ogni istante per la verità e il bene della persona umana, dal suo concepimento fino alla morte, è il martirio che oggi ci viene chiesto. Fare memoria dell’Amore, lì dove siamo, quotidianamente: questo il compito del cristiano e il primo atto educativo verso i più giovani, perché la Verità sull’uomo risplenda come un’alba per ogni cuore amante che veglia il giorno della gioia vera.