2.
Il secondo aspetto della riforma consiste
nell’adattare gli elementi validi del passato all’uomo d’oggi, e cioè al
progresso tecnologico e biblico, al gusto di ciò che è autentico e spontaneo,
al desiderio di partecipare attivamente a una preghiera comunitaria spoglia di
paludamenti strettamente monastici, al bisogno di variare di non sentirci
vittime della routine. Al suo
figliolo, inginocchiato sul letto, una mamma aveva detto: «Recita la
preghierina!». Il piccolo cominciò: «C’era una volta una bambina, che si chiama
Cappuccetto Rosso». «Cosa dici? - interruppe la mamma - t'ho detto di recitare
le tue preghiere!». «Sì, mamma, ma le ho dette tante volte, che il buon Gesù le
sa ormai a memoria; credo che egli si divertirà di più, se gli conterò la
storia di Cappuccetto Rosso!».
Siamo un po’ noi quel piccolo; nella preghiera
desideriamo giustamente novità, varietà e spontaneità: purtroppo, le novità che
proponiamo, sembrano talvolta una storia di Cappuccetto Rosso da convertirsi in
preghiera! Si sono però tenuti lontani da questi eccessi quelli che hanno
preparato la nuova preghiera comunitaria.
Una certe flessibilità vi è stata favorita. In
molti punti, infatti, è prevista la facoltà di scegliere tra più elementi
proposti. C’è la possibilità di sostituire i salmi cosiddetti «imprecatori» e
di omettere certi versetti duri all’orecchio moderno, specialmente se tradotti
direttamente dall’originale ebraico. E’ possibile recitare abitualmente la
Compieta domenicale in modo da impararla a memoria e fare a meno del libro. I
salmi di Compieta sono in ogni caso scelti tra quelli che più incoraggiano alla
confidenza in Dio, molto adatti alla preparazione del riposo, al momento, cioè,
in cui si sente il bisogno di chiedere perdono a Dio delle quotidiane
negligenze.
In nessuna delle Ore nuove ci sono mai più di
tre salmi o di modeste quantità salmodiche. Ciò, perché la preghiera abbia una
andatura più tranquilla e per tener giusto conto della capacità psicologica di
attenzione dei moderni.
Il colpo d’ala iniziale è dato in tutte le Ore
dall’inno, composizione lirica che è meno potente dei salmi, ma più congeniale
alla mentalità moderna, almeno occidentale. Nella preoccupazione di averli
adatti e stimolanti, una paziente scelta è stata fatta nella selva dei
trentamila inni lasciatici dal Medioevo: alcuni sono e potranno essere composti
ex novo.
Per favorire la partecipazione attiva dei
fedeli alle Lodi e ai Vespri, è lasciata la libertà di scegliere una lettura
più lunga al posto del Capitulim.
Inserendovi l’omelia, ne viene un servizio completo di lode, meditazione e
catechesi, con compiti distinti di chi presiede, per il lettore del brano
scritturistico, per il cantore che intona certi «pezzi», per il salmista che
inizia i salmi. La partecipazione dei laici è però desideratissima nei
confronti di tutta la «Liturgia delle ore». Essa - osserva F. Sheen - può
riuscire di buon esempio agli stessi sacerdoti, così come la donna nell’atrio
di Caifa indusse al rimorso la coscienza di Pietro. Non riuscirà tuttavia
partecipazione quale deve essere, se non ci sarà, da parte dei sacerdoti, una
catechesi impartita con metodo e perseveranza, che aiuti il popolo di Dio a
inserirvisi in modo vitale e cosciente.
Al posto di uno dei tre salmi, alla Lodi e ai
Vespri c’è sempre un cantico, ma ai Vespri il cantico è sempre tratto dalle
lettura apostoliche o dall’Apocalisse: di solito, breve e vibrante.
Antifone e responsori, rinnovati, hanno una
funzione nuova. Le antifone aiutano a capire il genere letterario del salmo, a
trasformarlo in preghiera personale, a dar risalto a qualche sua frase degna di
particolare attenzione, a riferirlo a situazioni speciali della comunità, a
sentirne la fragranza spirituale e letteraria. I responsori, invece, recano
nuova luce al testo scritturale appena ascoltato e sviluppano l’eco meditativa
prodotta nell’anima dalla lettura.
Il Mattutino è diventato Officium lectionis, un servizio di lettura e di meditazione, senza
carattere di orarietà.
Ogni anno, parte nella Messa e parte
nell’Ufficio, sarà letto per intero il Nuovo Testamento. L’Antico sarà letto,
nelle sue linee principali, ogni due anni. Le letture patristiche si estendono
anche alla letteratura medioevale e forse anche alla moderna. Scelte con
spirito nuovo, esse lasceranno cadere pagine esegetiche sottili e sorpassate,
polemiche anacronistiche, considerazioni moralistiche inadatte alla meditazione
dei sacerdoti e dei fedeli di oggi. Le Passiones
o vite dei Santi, in corso di revisione critica, vengono composte in modo da
mettere in risalto gli aspetti più caratteristici del Santo, evitando il clichè generale applicabile un po’ a
tutti. Per i santi recenti, le lezioni tenderanno non tanto a dare un riassunto
della vita, quanto a mettere in risalto l’influenza che ciascuno di essi ha
avuto sulla vita e sulla spiritualità della Chiesa.
Lo riconosco: tutto ciò non è moltissimo;
alcuni avrebbero desiderato novità più grosse, libertà più larghe, ma osservo
umilmente quanto segue.
1. Sono proprio da buttar via le
ricchezze di tutto un passato, se non si è davvero sicuri che c’è qualcosa di
meglio da sostituire? Nel suo appassionato intervento in Aula Conciliare (9
novembre 1962) il card. Stefano Wyszynski diceva: «Non domandiamo troppe
mutazioni nell’Ufficio divino. Vi si riscontrano elementi tradizionali ammirati
e rispettati anche da non cattolici… esso è un vincolo saldissimo di unione
della Chiesa orante, una fonte di consolazione, come hanno sperimentato i
sacerdoti carcerati o internati». Con queste ultime parole Wyszynski alludeva
alla propria esperienza: in questo senso lo intesero i Padri, che scoppiarono
in un applauso fragoroso. Si dirà che si tratta di sentimentalismo. Può darsi,
ma il fatto è che molti ci tengono. Pericoloso potrebbe essere riformare
audacemente, senza preparare questi molti.
2. E’ sempre il caso di fare un
dramma per questa o quell’altra forma esterna della preghiera comunitaria?
Quello che importa è pregare. Insistiamo soprattutto che si preghi. Le radici
degli alberi forti e rigogliosi riescono benissimo a orientarsi in cerca di
alimento nelle oscurità della terra. Le nostre comunità - e tanto più i singoli
- risolveranno brillantemente il problema del loro nutrimento spirituale, se
hanno fame e sete di colloquio con Dio. Le forme esterne sono un aiuto,
validissimo se adatte, ma niente più.
3. Sento dire talvolta: «Le
forme, quando sono tante e tutte già previste e precostituite, mortificano la
persona umana e le sue energie vitali. Rischiamo anche di imbrigliare lo
Spirito Santo! Più libertà, più improvvisazione, via libera ai carismi!». Tutto
bene, ma anche sotto il soffio dello Spirito Santo, la preghiera resta azione
nostra, umana. Siamo noi che preghiamo, e portiamo nella preghiera la nostra
intelligenza e affettività, e troviamo in essa le difficoltà proprie di tutte
le azioni umane. Non ci fa dunque torto, ma ci aiuta il Magistero, se ci offre
delle formule, se ci suggerisce segni o atteggiamenti del corpo, se ci propone
di solennizzare col canto la celebrazione dell’Ufficio, cercando di avviarci
grado grado. Chi guida l’auto non inizia, di solito, il viaggio, innestando la
quarta velocità. Così, non si può pretendere, pregando, di viaggiare subito e
sempre nella «quarta» della spontaneità totale, senza manovre previe, che
abbiano aiutato la nostra pigrizia e naturale resistenza alla preghiera. Pascal
non era uno stupido. Eppure consigliava all’ateo di cominciare a farsi il segno
della croce. Pensava che questo gesto fisico, tutt’altro che inventato in quel
momento e spontaneo, avrebbe risvegliato qualcosa nella psiche e aiutato a
superare le resistenza. Pascal a parte, pensi che sia saggio accettare
volentieri le forme che - dopo tanti studi e consultazioni – ci vengono
autorevolmente proposte e guardare con fiducia alla nuova preghiera
comunitaria. Grazie ad essa, Signore, - in una forma nuova - Te per orbem terrarum sancta confitetur
ecclesia. Confitetur, continuando con tanta gioia e fierezza in
quest’esilio terrestre l’inno, che Tu hai intonato quaggiù e che da sempre è
cantato lassù nelle sedi celesti (Cfr. SC, n.83).