di Claudio Benvenuti
Ad essere sinceri, l’opera di Ensor è
spiazzante. Se ne trova conferma indagandone il tormentato successo. Forse non è
più da dirsi propriamente blasfema
come giudicarono i critici del tempo. Più che irrispettosa di una bieca
mentalità borghese fin-de-siècle è
innegabile: il quadro offende. Sì, c’è davvero
il rischio di rimane feriti. Anche se ci si avvicina timidamente all’idea
originaria dell’autore fiammingo, a più di un secolo di distanza, la denuncia
suona ancora attuale.
Una pungente ironia emerge nei colori accesi,
nell’ammasso di svariati volti a tratti confusi nell’agitata dinamica di una
massa in movimento. Persino il titolo sembra tradire una sottile presa in giro,
Entrata di Cristo a Bruxelles. Ma
dov’è Gesù? Non immediatamente, aiutati dall’ostentata aureola dorata, lo si
scorge benedicente. Eppure è proprio il minuscolo Redentore il centro
prospettico dell’enorme dipinto.
Aguzzando la vista è facile accorgersi di un
particolare interessante, Cristo è l’unico a non indossare una maschera. Tra
l’ammasso di caricature descritte con colori vivaci, richiamanti le tinte
sgargianti di una allegra ma sinistra sfilata cittadina, Gesù appare
paradossalmente alieno dalla massa circostante. Ammutolito dal rumore della
folla, dalla banda, dagli slogan, dalle grida, dalle pubblicità.
Dove vuole arrivare Ensor con uno scenario
tanto confusionario quanto inquietante? Se suscitano una istantanea piacevolezza
le brevi pennellate nervose con cui il colore ha riempito la tela, se può trasmettere
ilarità tale marasma di volti curiosi, una prolungata attenta osservazione muta
la gradevole sensazione quasi in tensione allucinatoria.
Un lieto evento si trasforma in un incubo. La
prospettiva centrale riversa sullo spettatore la deforme massa eccitata. Gli
sguardi dei soggetti - talvolta marcatamente ridicoli e tenebrosi - appaiono
privi di ordine. In maggioranza sono clown, scheletri o maschere carnevalesche.
È assente un serio criterio compositivo se non una struttura così elementare da
sembrare banale. L’indistinto fondo del quadro, il principio del flusso umano si
mescola a svariati e solo accennati simboli, bandiere ed edifici fino ad
estinguersi in insignificanti puntini.
Ora si
potrebbero tirare le somme. Sarebbe possibile concludere con consunte considerazioni
storico-artistiche. L’originalità dell’opera può essere relegata ad una
corrente antiaccademica quale l’espressionismo, inquadrando il linguaggio usato
nel simbolismo. Oppure, si potrebbe leggere l’opera anestetizzandone il
messaggio. Avvalendosi del contesto culturale di fine Ottocento, sfruttare il
pennello dell’autore per celebrare il mito del progresso. Divincolandoci da un
certo schematismo didattico, ipotizziamo un finale diverso dalle consuete
analisi.
Torniamo al principio della nostra brevissima
riflessione. L’opera spiazza. Ad un cristiano può provocare un discreto e
profondo fastidio. Cristo nella sua ascesa trionfante verso il Calvario sembra
dileggiato dall’indifferenza di un popolo dimentico. Un macabro clima di festa.
Il Redentore attorniato da una folla intenta a procedere decisa, violenta,
disordinata, spensierata, impazzita. Figure inquietanti rivestite di morte o di
falsità e rumorosamente distratte accompagnano Cristo al Golgota, alla
manifestazione della sua gloria, all’evento salvifico dell’umanità. Ebbene, nell’opera di Ensor propongo di trovare
riflessa proprio la nostra società, il tramonto di valori universalmente
riconosciuti e portati a pienezza da un cristianesimo in grado di diventare
cultura.
Un certo pessimismo tradirebbe l’essenziale
positività dello sguardo proprio al discepolo del Divin Maestro. Oltretutto,
non sarebbe per nulla benefico alla Chiesa di oggi. Con gli occhi rinnovati del
cristiano riguardiamo l’opera. Il cuore può cantare lo stupore. Pur nella
difficoltà riconosce il Dio vicino. In una società che, se dimentica di Dio,
può solo correre rapida verso il precipizio, Cristo non è assente. Gesù ci è
prossimo. Nell’umiltà della cavalcatura, nella semplicità di una presenza
discreta e al contempo centrale, il Messia emerge dal marasma umano.
Non omettiamo, per amor di verità, una
silenziosa autocelebrazione dell’artista. Ad una acuta osservazione si
riscontrano i lineamenti di Ensor in quelli del Messia. Ciò non toglie, però, che
nonostante tante maschere, risplende sempre il vero volto di Gesù.