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martedì 5 maggio 2015

La preghiera comunitaria della Chiesa/2


2.
 Il secondo aspetto della riforma consiste nell’adattare gli elementi validi del passato all’uomo d’oggi, e cioè al progresso tecnologico e biblico, al gusto di ciò che è autentico e spontaneo, al desiderio di partecipare attivamente a una preghiera comunitaria spoglia di paludamenti strettamente monastici, al bisogno di variare di non sentirci vittime della routine. Al suo figliolo, inginocchiato sul letto, una mamma aveva detto: «Recita la preghierina!». Il piccolo cominciò: «C’era una volta una bambina, che si chiama Cappuccetto Rosso». «Cosa dici? - interruppe la mamma - t'ho detto di recitare le tue preghiere!». «Sì, mamma, ma le ho dette tante volte, che il buon Gesù le sa ormai a memoria; credo che egli si divertirà di più, se gli conterò la storia di Cappuccetto Rosso!».
 Siamo un po’ noi quel piccolo; nella preghiera desideriamo giustamente novità, varietà e spontaneità: purtroppo, le novità che proponiamo, sembrano talvolta una storia di Cappuccetto Rosso da convertirsi in preghiera! Si sono però tenuti lontani da questi eccessi quelli che hanno preparato la nuova preghiera comunitaria.
 Una certe flessibilità vi è stata favorita. In molti punti, infatti, è prevista la facoltà di scegliere tra più elementi proposti. C’è la possibilità di sostituire i salmi cosiddetti «imprecatori» e di omettere certi versetti duri all’orecchio moderno, specialmente se tradotti direttamente dall’originale ebraico. E’ possibile recitare abitualmente la Compieta domenicale in modo da impararla a memoria e fare a meno del libro. I salmi di Compieta sono in ogni caso scelti tra quelli che più incoraggiano alla confidenza in Dio, molto adatti alla preparazione del riposo, al momento, cioè, in cui si sente il bisogno di chiedere perdono a Dio delle quotidiane negligenze.
 In nessuna delle Ore nuove ci sono mai più di tre salmi o di modeste quantità salmodiche. Ciò, perché la preghiera abbia una andatura più tranquilla e per tener giusto conto della capacità psicologica di attenzione dei moderni.
 Il colpo d’ala iniziale è dato in tutte le Ore dall’inno, composizione lirica che è meno potente dei salmi, ma più congeniale alla mentalità moderna, almeno occidentale. Nella preoccupazione di averli adatti e stimolanti, una paziente scelta è stata fatta nella selva dei trentamila inni lasciatici dal Medioevo: alcuni sono e potranno essere composti ex novo.
 Per favorire la partecipazione attiva dei fedeli alle Lodi e ai Vespri, è lasciata la libertà di scegliere una lettura più lunga al posto del Capitulim. Inserendovi l’omelia, ne viene un servizio completo di lode, meditazione e catechesi, con compiti distinti di chi presiede, per il lettore del brano scritturistico, per il cantore che intona certi «pezzi», per il salmista che inizia i salmi. La partecipazione dei laici è però desideratissima nei confronti di tutta la «Liturgia delle ore». Essa - osserva F. Sheen - può riuscire di buon esempio agli stessi sacerdoti, così come la donna nell’atrio di Caifa indusse al rimorso la coscienza di Pietro. Non riuscirà tuttavia partecipazione quale deve essere, se non ci sarà, da parte dei sacerdoti, una catechesi impartita con metodo e perseveranza, che aiuti il popolo di Dio a inserirvisi in modo vitale e cosciente.
 Al posto di uno dei tre salmi, alla Lodi e ai Vespri c’è sempre un cantico, ma ai Vespri il cantico è sempre tratto dalle lettura apostoliche o dall’Apocalisse: di solito, breve e vibrante.
 Antifone e responsori, rinnovati, hanno una funzione nuova. Le antifone aiutano a capire il genere letterario del salmo, a trasformarlo in preghiera personale, a dar risalto a qualche sua frase degna di particolare attenzione, a riferirlo a situazioni speciali della comunità, a sentirne la fragranza spirituale e letteraria. I responsori, invece, recano nuova luce al testo scritturale appena ascoltato e sviluppano l’eco meditativa prodotta nell’anima dalla lettura.
 Il Mattutino è diventato Officium lectionis, un servizio di lettura e di meditazione, senza carattere di orarietà.
 Ogni anno, parte nella Messa e parte nell’Ufficio, sarà letto per intero il Nuovo Testamento. L’Antico sarà letto, nelle sue linee principali, ogni due anni. Le letture patristiche si estendono anche alla letteratura medioevale e forse anche alla moderna. Scelte con spirito nuovo, esse lasceranno cadere pagine esegetiche sottili e sorpassate, polemiche anacronistiche, considerazioni moralistiche inadatte alla meditazione dei sacerdoti e dei fedeli di oggi. Le Passiones o vite dei Santi, in corso di revisione critica, vengono composte in modo da mettere in risalto gli aspetti più caratteristici del Santo, evitando il clichè generale applicabile un po’ a tutti. Per i santi recenti, le lezioni tenderanno non tanto a dare un riassunto della vita, quanto a mettere in risalto l’influenza che ciascuno di essi ha avuto sulla vita e sulla spiritualità della Chiesa.
 Lo riconosco: tutto ciò non è moltissimo; alcuni avrebbero desiderato novità più grosse, libertà più larghe, ma osservo umilmente quanto segue.

1. Sono proprio da buttar via le ricchezze di tutto un passato, se non si è davvero sicuri che c’è qualcosa di meglio da sostituire? Nel suo appassionato intervento in Aula Conciliare (9 novembre 1962) il card. Stefano Wyszynski diceva: «Non domandiamo troppe mutazioni nell’Ufficio divino. Vi si riscontrano elementi tradizionali ammirati e rispettati anche da non cattolici… esso è un vincolo saldissimo di unione della Chiesa orante, una fonte di consolazione, come hanno sperimentato i sacerdoti carcerati o internati». Con queste ultime parole Wyszynski alludeva alla propria esperienza: in questo senso lo intesero i Padri, che scoppiarono in un applauso fragoroso. Si dirà che si tratta di sentimentalismo. Può darsi, ma il fatto è che molti ci tengono. Pericoloso potrebbe essere riformare audacemente, senza preparare questi molti.

2. E’ sempre il caso di fare un dramma per questa o quell’altra forma esterna della preghiera comunitaria? Quello che importa è pregare. Insistiamo soprattutto che si preghi. Le radici degli alberi forti e rigogliosi riescono benissimo a orientarsi in cerca di alimento nelle oscurità della terra. Le nostre comunità - e tanto più i singoli - risolveranno brillantemente il problema del loro nutrimento spirituale, se hanno fame e sete di colloquio con Dio. Le forme esterne sono un aiuto, validissimo se adatte, ma niente più.

3. Sento dire talvolta: «Le forme, quando sono tante e tutte già previste e precostituite, mortificano la persona umana e le sue energie vitali. Rischiamo anche di imbrigliare lo Spirito Santo! Più libertà, più improvvisazione, via libera ai carismi!». Tutto bene, ma anche sotto il soffio dello Spirito Santo, la preghiera resta azione nostra, umana. Siamo noi che preghiamo, e portiamo nella preghiera la nostra intelligenza e affettività, e troviamo in essa le difficoltà proprie di tutte le azioni umane. Non ci fa dunque torto, ma ci aiuta il Magistero, se ci offre delle formule, se ci suggerisce segni o atteggiamenti del corpo, se ci propone di solennizzare col canto la celebrazione dell’Ufficio, cercando di avviarci grado grado. Chi guida l’auto non inizia, di solito, il viaggio, innestando la quarta velocità. Così, non si può pretendere, pregando, di viaggiare subito e sempre nella «quarta» della spontaneità totale, senza manovre previe, che abbiano aiutato la nostra pigrizia e naturale resistenza alla preghiera. Pascal non era uno stupido. Eppure consigliava all’ateo di cominciare a farsi il segno della croce. Pensava che questo gesto fisico, tutt’altro che inventato in quel momento e spontaneo, avrebbe risvegliato qualcosa nella psiche e aiutato a superare le resistenza. Pascal a parte, pensi che sia saggio accettare volentieri le forme che - dopo tanti studi e consultazioni – ci vengono autorevolmente proposte e guardare con fiducia alla nuova preghiera comunitaria. Grazie ad essa, Signore, - in una forma nuova - Te per orbem terrarum sancta confitetur ecclesia. Confitetur, continuando con tanta gioia e fierezza in quest’esilio terrestre l’inno, che Tu hai intonato quaggiù e che da sempre è cantato lassù nelle sedi celesti (Cfr. SC, n.83).