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martedì 28 aprile 2015

La preghiera comunitaria della Chiesa/1


Presentiamo ai nostri lettori una prolusione dell' allora Card. Luciani, poi Giovanni Paolo I ad un convegno del 1970 sulla nuova Liturgia delle ore, promulgata da pochi mesi. Le parole del Patriarca di Venezia ci aiutano a comprendere meglio la logica della riforma conciliare della preghiera comunitaria. 

La preghiera comunitaria della Chiesa

XXI Settimana Liturgica Nazionale (Verona, 31 agosto-4 settembre 1970) 
a cura del Centro d’Azione Liturgica.

 Tutte le azioni della vita di Cristo sono state per noi di aiuto e di salvezza. Alcune di esse, però, lo sono in modo speciale: la sua Morte con la sua Resurrezione, in primo luogo, ma anche la sua orazione. Possiamo dire che i primi trent’anni della sua vita terrestre furono, quasi per intero, anni di preghiera; il suo periodo triennale di azione si inaugura con quaranta giorni oranti nel deserto; i giorni dell’opera intensa per le anime hanno spesso per conclusione notti di preghiera. Egli si preoccupa molto di insegnare a pregare: con l’ammaestramento, con l’esempio e con la preghiera fatta insieme con gli Apostoli; l’intero tempo terreno di Cristo può essere concepito come un’azione originante dalla preghiera.
 La Chiesa è prolungamento di Cristo e comunità non solo di salvati, ma di salvatori. Deve, dunque, essere anche una comunità di preghiera. Lo è in maniera privilegiata nella celebrazione dell’Ufficio divino. Questo ci verrà presentato presto in una nuova edizione. E’ il risultato di un lavoro molto impegnativo e non facile di riforma.
 Come risulterà la nuova Liturgia delle ore? Sarà, mi pare di poter dire, una specie di Giano bifronte. Con una faccia essa guarda indietro, succhiando dalla preghiera comunitaria passata sia lo spirito, sia le forme e i contenuti ancora validi; con l’altra guarda avanti, cercando di venire incontro alla mentalità e ai bisogni degli uomini d’oggi. 

1. 
 Sant’Agostino scrive: mia madre era solita recarsi due volte al giorno in chiesa, mattina e sera; «affinchè essa ti udisse, Signore, nelle tue parole e tu ascoltassi lei nelle sue preghiere» (S.Agostino, Confessioni, V, 9). Questo passo è uno dei tanti che ci informano circa la prassi, ereditata dalla Sinagoga già dai primissimi cristiani, radunarsi ogni giorno sotto la guida del clero, al levar del sole e al tramonto per un ufficio di lode. La Messa, in quei tempi, si celebrava quasi esclusivamente la domenica e nelle feste dei martiri; mai, però, nelle comunità maggiori mancavano al mattino le Lodi e alla sera i Vespri.
 Ho detto «Ufficio di lode». Si trattava di preghiera eminentemente teocentrica, dedicata alla contemplazione dei mirabilia Dei nell’opera della creazione e della redenzione. Come creatore, Dio veniva contemplato e magnificato nelle Lodi. Quando al mattino l’uomo si sveglia, apre gli occhi con un nuovo stupore sul mondo che lo circonda, riscopre con gioia che la vita non si è fermata mentre egli dormiva. Se c’è religiosità in lui, si sente stimolato da quanto vede a manifestare il suo stupore e la sua gratitudine. Gli Ebrei e i primi Cristiani ritenevano che aiuto eccellente per questa manifestazione fossero i tre ultimi salmi del Salterio, detti «Laudate» ed altri simili. «Signore, se tu mandi il buio, diventa notte - diceva il salmo 103 -; allora gli animali feroci escono di qua e di là; i leoni ruggiscono in cerca di preda e domandano a Dio il loro nutrimento».
 Domandano - pensavano i primi cristiani - ma non sanno. Noi, Signore, sappiamo. Noi conosciamo che il ruggito del leone nella notte tropicale è una risposta a Te. Noi ci costituiamo, qui, adesso, interpreti di tanti gridi irragionevoli, con un nostro grido d’anima, nel quale mettiamo intelligenza, cuore e letizia, dicendoti: Il mio cuore è saldo, o Dio, il mio cuore è saldo. Io voglio cantare e inneggiare: svegliati, o mia gloria, svegliati arpa e cetra, sveglierò l’aurora (Salmo 56, 8-9).
 Come salvatore, Dio era, invece, contemplato la sera con l’aiuto di altri salmi, che dagli Ebrei erano detti dell’Hallel o Alleluiatici (112-117). Narrano e magnificano ciò che Dio ha fatto a favore del suo popolo, ricordano i benefici largiti con intramontabile misericordia, nonostante ripetuti peccati e abbandoni.
 Recitandoli, la comunità li applicava a se stessa, pensando pressapoco come segue: «Anche su di noi si esercita un amore di Dio, che non si lascia scoraggiare da tante ripetute debolezze e mancanze; anche in noi si prolunga una storia, che, se da parte di Dio è storia sacra, da parte nostra è storia di peccati e debolezze!». Il Salmo 135, riassumeva questi pensieri fiduciosi nel seguente versetto: Rendete grazie al Signore, egli è buono: eterno sarà il suo amore per noi.
 Lodi e Vespro costituirono sempre i due grandi pilastri della preghiera comunitaria; per primi ebbero carattere liturgico; per molto tempo furono - seppure con fortune diverse - le Ore, cui maggiormente partecipava il popolo, e in alcuni periodi della storia furono celebrati con straordinaria solennità di riti.
 Meno solenni, invece, le tre preghiere, pure antichissime, chiamate Terza, Sesta e Nona. Esse venivano considerate quasi tre soste di riposo, con elevazione della mente a Dio nel corso della giornata. La Regola benedettina diceva che esse potevano recitarsi non in chiesa, ma sul luogo stesso del lavoro.
 Più recenti, di origine monastica e più antropocentriche, orientate cioè verso l’interesse dell’uomo, sono Prima e Compieta. L’ora di Prima coincideva con il riunirsi dei monaci nella sala del Capitolo, per ricevere dal Superiore gli incarichi quotidiani; ma se Prima segnava l’inizio dei pesanti lavori di casa, Compieta preparava al riposo. L’orazione finale che invoca la benevola visita di Dio per habitationem istam, ricorda anche adesso che essa veniva recitata non in chiesa, ma nel monastero. Il ricordato antropocentrismo delle due preghiere, con accenni dettagliati alle quotidiane pene e necessità, cui il Signore, invocato, viene incontro con amorosa provvidenza, quasi coprendoci con le ali e custodendoci come pupilla degli occhi, può forse spiegare come esse siano state preferite, prima del Concilio, alle Lodi e ai Vespri, per esempio dai fucini e da altri gruppi che si raccoglievano in preghiera comunitaria.  Chi ha fine senso della tradizione, giudica tale preferenza un po’ superficiale.
 Il Mattutino ebbe inizio, pare, dalla devozione, consigliata dai Padri anche ai laici, di leggere, meditandola, la Sacra Scrittura nelle ore più tranquille. I monaci aggiunsero alla lettura i salmi cantanti durante la «veglia», ovverosia di notte. Di notte, per prepararsi al ritorno del Signore, ricordato dalle parole della parabola: «…e a mezzanotte si levò un grido: “Ecco lo sposo, uscitegli incontro!”» (Mt 25,6). Interrompere a questo modo il sonno riuscirebbe oggi piuttosto gravoso. Una volta, mancando il lavoro tumultuoso odierno e scarseggiando l’illuminazione, appena annottava, la gente andava a letto e vi rimaneva per dieci-dodici ore: una breve interruzione del sonno verso mezzanotte, per pregare, non costituiva un sacrificio grave.
 E’ finito il mio breve sguardo storico. Da esso viene l’invito a distribuire un po’ di preghiera su tutta la nostra giornata, rispettando quella che il Concilio chiama «veritas horarum», anche se è vero che lo sconvolgimento naturale del ritmo delle ore complica un po’ le cose in materia. Risulta anche la gerarchia delle varie parti: in cima alla scala stanno Lodi e Vespro, «duplex cardo» della preghiera comunitaria. Segue il Mattutino, concepito soprattutto come tempo di pio contatto con la Parola di Dio. Infine, Ora minore e la Compieta. Detta gerarchia potrà, forse, in seguito, servire da parametro per fissare i vari gradi di obbligatorietà per chi è tenuto alla recita dell’Ufficio divino con un legame che è stimolo affettuoso, più che coercizione, privilegio più che onere.
 Dal passato viene anche il suggerimento di servirci giudiziosamente dell’antropocentrismo e del teocentrismo nella preghiera personale. Entrambi i sistemi ci spingono alla santità, ma in modo diverso: «Sii più buono e la tua lode al Signore sarà veramente degna della maestà di Dio!» dice il teocentrismo, che è essenziale nella preghiera cristiana. L’antropocentrismo invece: «Prega il Signore; esponigli i tuoi bisogni, ne avrai aiuto a essere più buono! Al Signore sta a cuore, per te, il riconoscimento della sua Maestà; ma gli sta anche a cuore che tu ti salvi!».