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giovedì 24 dicembre 2015

Natale e arte/3


Maternità

Giovanni Segantini, Villa Belgioso Bonaparte, Milano (1889)


Nella seconda metà del XIX secolo, il divario tra accademismo e avanguardia si fa più ampio. I celebri soggetti tradizionali vengono reinterpretati, e la ricerca formate sempre più rinnovata. Non più Natività ricche di fasti barocchi, scompaiono i panneggi delle vesti, gli angeli e le folle di magi e pastori. Gesù torna a nascere nella povertà di una stalla. Segantini, divisionista sensibile alle problematiche del proletariato, rilegge la Natività in chiave feriale, con rapide pennellate di malinconica solitudine, approfondendo il rapporto luce-spazio. La madre accudisce il piccolo, mentre il padre, assente, lavora nei campi o in fabbrica con orari disumani. All’opprimente austerità del luogo, a tanta miseria si contrappone la quiete della madre, intenta, nel suo silenzio ad accogliere con luminosa speranza la creatura nuova.


lunedì 21 dicembre 2015

Natale e arte/2


Adorazione dei pastori

Pieter Paul Rubens, Pinacoteca Civica, Fermo (1609)



I gesti e le espressioni dei personaggi ci guidano alla lettura di questa celebre Natività barocca. Al centro del dipinto, l’autore ha collocato lo sguardo della giovane nutrice verso il Bambino. E’ un invito per chi osserva a lasciarsi illuminare dalla Luce divina, tema ricorrente nelle Natività rinascimentali. Maria, con dolcezza materna, preoccupandosi di non svegliarlo, mostra ai pastori Gesù dormiente. La luce del Figlio illumina il volto della Madre e quello degli astanti. Sant’Anna con le mani alzate in preghiera è accanto a due pastori presi dallo stupore per un evento così straordinario. 

domenica 20 dicembre 2015

Natale e arte


Natività

Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova (1303-05)




“La Signora del mondo stava con gli occhi fissi per il grande affetto sopra il diletto figlio” da queste parole - tratte dallo scritto duecentesco Meditationes Vitae Jesu Christi - Giotto prende ispirazione per narrare la nascita del Salvatore in modo innovativo per l’epoca: non più lo sfondo mistico dorato, ma per la prima volta un paesaggio ben descritto. La nostra osservazione è guidata, attraverso una ideale circonferenza, dalla semplice capanna agli episodi di contorno.
 Le braccia protese della Madre sono pronte ad accogliere il Salvatore. Gesù è già avvolto in fasce incrociate e intrecciate, così si usava fasciare i defunti. La mangiatoia in cui sta per essere posto il Bambino, infatti, ha la forma squadrata come quella di un sepolcro, richiamo evidente alla gloriosa Resurrezione. Gesù Bambino e Maria si guardando profondamente. La sintesi dell’intero presepe pittorico è in questo intimo, silenzioso dialogo di sguardi.
 Il bue e l’asino adoranti precedono Giuseppe, assonnato. Giotto, poi, pone sul piano inferiore delle capre, buona parte di esse ignorano il Salvatore. Nel linguaggio iconografico, pecore e capre rappresentano l’umanità spesso indifferente, smarrita o distratta d’innanzi alla straordinarietà di Dio.
 Un angelo proteso verso la terra porta l’annuncio ai pastori. Così, il canto di lode non riempie più solo il cielo ma il suono delle loro zampogne, che si intravedono appena, allieta i primi respiri del Bambin Gesù. 

giovedì 17 dicembre 2015

Veni, sanctificàtor


da Ripariamo!
di P.Giuseppe M. Petazzi SJ
S. Lega eucaristica, Milano 1933

Veni, sanctificátor omnípotens ætérne Deus: et benedic hoc sacrifícium, tuo sancto nómini præparátum.
Vieni, Dio eterno, onnipotente, santificatore, e benedici questo sacrificio preparato nel tuo santo nome. 

 Perché il nostro sacrificio possa essere compiuto degnamente, come è necessaria, o Gesù, la benedizione del tuo Santo Spirito!
 Esso è Spirito di amore e perciò di santità, perché essa non consiste che nell’amore del Bene Supremo. Ora il sacrificio non può essere accetto se non è ispirato all’amore: et si tradidero corpus meum ita ut ardeam, charitatem autem non habuero, nihil sum (1Cor 13,3).

giovedì 10 dicembre 2015

In spiritu humilitatis...


da Ripariamo!
di P.Giuseppe M. Petazzi SJ
S. Lega eucaristica, Milano 1933

 In spíritu humilitátis et in ánimo contríto suscipiámur a te, Dómine: et sic fiat sacrifícium nostrum in conspéctu tuo hódie, ut pláceat tibi, Dómine Deus.
 Con spirito di umiltà e con animo contrito, possiamo noi, o Signore, esserti accetti e il nostro sacrificio si compia oggi alla tua presenza in modo da piacere a Te, o Signore Dio. 

 L’umiltà e la contrizione del cuore, ecco, o Signore, le condizioni necessarie perché possiamo essere accolti da Te come sacrificio gradito. Cor contritum et humiliatum Deus non despicies.  La nostra umiliazione e contrizione, per quanto grande, non potrà mai essere sufficiente a placare lo sdegno di Dio se non è congiunta alle umiliazioni e al dolore dell’Agnello santo che solo rende accetto ogni sacrificio. Se il re penitente poteva aprire il suo cuore alla speranza di veder accolte le sue lacrime, era perché preveniva con lo spirito profetico il sacrificio dell’Agnello che toglie il peccato del mondo. Oh dunque, guarda, o Signore Dio mio, guarda nel volto afflitto del tuo Cristo: respice in faciem Christi tui.
 Quanto sei umiliato, o Agnello divino, specialmente nel Getsemani, quando assumendo l’atteggiamento di Vittima, hai voluto vivere il terrore, lo smarrimento, la confusione dell’uomo peccatore! Allora i tuo occhi illibati e santi non osavano più sollevarsi al cielo; ti sei prostrato tremante per terra e hai bagnato il suolo con le lacrime e col Sangue.
 Ed in questo momento l’atteggiamento del tuo ministro inchinato, richiama appunto e fa rivivere la scena del Getsemani. Di nuovo ti prostri, ti annienti davanti all’infinita Maestà del Padre: nuovamente ti senti oppresso, schiacciato e spezzato dalla moltitudine dei miei peccati. Per essi domandi pietà e perdono.
 In questo istante vedo tutti i miei peccati, pensieri, parole, opere, omissioni: li vedo pesare sopra di Te, o Agnello Santo. Tanto mi ami che, se fosse possibile, ancora vorresti ripetere i tuoi spasimi, i gemiti, le agonie profonde del tuo Cuore per ottenermene perdono. Sarà possibile che dopo tale spettacolo di amore e di dolore, il mio cuore rimanga ancora insensibile e non si abbia da umiliare e spezzare con Te e per Te? Sarà possibile che mi abbia ad elevare in superbia, mentre Ti abbassi tanto e Ti annienti per me?
 Mio Gesù, da questo momento fino all’ultimo della mia vita, voglio assumere questo atteggiamento di umiliazione e di contrizione. Da oggi fino all'ultimo respiro, voglio essere un agnello, vittima con Te. Possa Tu, o Sacerdote divino, presentandomi al Padre, ripetere le parole del tuo Precursore: ecce agnus Dei! Sì, possa esserlo anch’io. Consacrarmi, o Gesù, con l'unzione del tuo Sangue; consacrarmi agnello e vittima con Te! Non permettere che mai abbia a scendere dall’altare del tuo Sacrificio, mai abbia a cessare di essere vittima con Te. Quale orrenda profanazione sarebbe mai questa, o mio Dio!
 Eppure quante volte mi sono così profanato, o Gesù! Quante volte avevo giurato di essere il tuo agnello, la tua vittima: quante volte ho ripetuto la mia protesta di umiliazione e di contrizione, ho ripetuto solennemente queste sante parole: in spiritu humilitatis et in animo contrito sucipiamur a Te, Domine, e poi lo spirito di superbia è penetrato ancora in questo cuore; ho osato, come il superbo Fariseo, levare la fronte, vantare quasi dei diritti sopra il mio Dio, disprezzare il povero pubblicano che in fondo al tempo non osava levare il suo sguardo all’altare e si percuoteva umilmente il petto dicendosi peccatore.

 O Agnello divino, perché hai Tu permesso che mi separassi da Te? Dal tuo atteggiamento di umiltà e di confusione? Deh, ascolta il mio gemito, che adesso mi sembra proprio partire dal fondo del mio cuore umiliato e contrito per tanta infedeltà: Ne permittas separari a Te! Non permettere che mai mi separi da Te umiliato, confuso, tremante davanti all’infinita Maestà di Dio offesa dai miei peccati. Non permettere che mai abbia a dimenticare che il mio atteggiamento non può essere altro se non quello della vittima umiliata e tremante. Solo così potrò riportare in me stesso i frutti stupendi delle tue umiliazioni, delle lacrime, delle tue agonie. Soltanto così il mio sacrificio potrà essere accetto al Signore, perché non sarà più mio, ma tuo, o Gesù: sic fiat sacrificium nostrum in cospectu tuo hodie, ut placeat tibi, Domine Deus!

lunedì 7 dicembre 2015

Salve Regina!

Bellini, Pietà, 1465-70

Dalla Prefazione di Triplice attentato al Re divino
del  Servo di Dio P. Matteo Crawley, SS.CC, 1922

 Salve Regina dei cuori dedico queste pagine scritte col sangue del mio povero cuore diritti del Re d'Amore, tuo Figlio.
 Salve Regina!... Tu, che nella notte del primo Natale, vegliasti tra le sofferenze, senza poter tro­vare né un tetto che ti ricoprisse, né una porta aper­ta che ti ricevesse.
Tu, la grande Riparatrice, aiu­tami a restaurare la sovranità di Gesù nelle famiglie e nella società, batti Tu stessa alle porte dei cuori e delle famiglie cristiane, chiedendo un trono di gloria per il Cristo Re!

mercoledì 25 novembre 2015

Ave regina coelorum

Tiepolo, Immacolata concezione, 1767 
Ave, Regina dei cieli,                        Ave, Regina caelorum, 
ave, signora degli angeli;                 ave Domina Angelorum,
porta e radice di salvezza,              salve, radix, salve, porta,
rechi nel mondo la luce.                  ex mundo lux est orta.
Godi, Vergine gloriosa,                    Gaude Virgo gloriosa, 
bella fra tutte le donne;                   super omnes speciosa,
salve, o tutta santa,                          vale o valde decora, 
prega per noi Cristo Signore.         et pro nobis Christum exora.
 Questa prece mariana compare negli antifonari del XII secolo per la festa dell’Assunzione di Maria al cielo, ancora attualmente suggerita dopo la preghiera di Compieta nella Liturgia horarum.
 Attribuita, probabilmente, a Goffredo, cardinale abate di Vendome (+1132), il testo innalza l’anima orante in sublimi e ripetuti saluti alla Vergine, adorata come gloria celeste, come Sovrana degli angeli. Riconosciuta come porta e radice della salvezza, mistico albero da cui è originato Cristo, risplende luminosa nel mondo.

Offerimus tibi, Domine


da Ripariamo!
di P.Giuseppe M. Petazzi SJ
S. Lega eucaristica, Milano 1933

Offerimus tibi, Domine, calicem salutaris tuam deprecantes clementiam: ut in conspectu divinae majestatis tuae, pro nostra et totius mundi salute com odore suavitatis ascendat. Amen.

Ti offriamo, o Signore, questo calice di salvezza, e scongiuriamo la tua clemenza, affinché esso salga come odore soave al cospetto della tua divina maestà, per la salvezza nostra e del mondo intero. Amen.

Quantunque nel calice non si contenga ancora che un po’ di vino mescolato con qualche stilla di acqua, la Chiesa ti fa, o Signore, questa offerta con grande confidenza, e scongiura la tua clemenza perché salga con fragranza soavissima al cospetto della divina Maestà e salvezza del mondo intero. È un’offerta tuttora simbolica: ma tra poco il simbolo si muterà in una realtà stupenda: la tua potenza è già pronta a compiere il grande prodigio il tuo amore già lo anticipa in spirito, in modo che Tu, o Gesù, ti trovavi tra le braccia della Santissima Madre, nel tempio, ancora non era compiuto il sacrificio cruento, ma pure già ti offrivi per mezzo di Maria, per la salvezza di tutto il mondo.

sabato 14 novembre 2015

Sub tuum praesidium

Filippo Lippi, Madonna con Bambino e due angeli, 1465



Sub tuum praesidium confugimus, 
Sancta Dei Genetrix.
Nostras deprecationes ne despicias
in necessitatibus,
sed a periculis cunctis
libera nos semper,
Virgo gloriosa et benedicta.

Nella sua tradizione, la Chiesa ha utilizzato e custodito splendide preghiere alla Vergine Maria. Alcune sono molto diffuse nel popolo cristiano e sono state cantate da generazioni di cattolici, soprattutto grazie anche alla semplicità della melodia gregoriana.
 Tra le più antiche preci ricordiamo l’antifona Sub tuum praesidium. Databile al III secolo e rintracciabile nella liturgia natalizia copta, il testo è stato ritrovato in un papiro ad Alessandria d’Egitto. 

martedì 10 novembre 2015

Deus qui humanae substantiae...


da Ripariamo!
di P.Giuseppe M. Petazzi SJ
S. Lega eucaristica, Milano 1933

Deus, qui humánæ substántiæ dignitátem mirabíliter condidísti, et mirabílius reformásti: da nobis per huius aquae et vini mystérium, eius divinitátis esse consórtes, qui humanitátis nostrae fieri dignátus est párticeps, Iesus Christus Fílius tuus Dóminus noster: Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia saécula saeculórum. Amen. 

O Dio, che in modo meraviglioso creasti la nobile natura dell'uomo, e piú meravigliosamente ancora l'hai riformata, concedici di diventare, mediante il mistero di quest'acqua e di questo vino, consorti della divinità di Colui che si degnò farsi partecipe della nostra umanità, Gesú Cristo tuo Figlio, Nostro Signore, che è Dio e vive e regna con Te nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Cosí sia. 

 Come è meravigliosa, o mio Dio, la preghiera che il tuo Sacerdote recita nell’atto di infondere alcune stille d’acqua nel vino! Ci ricorda anzitutto la dignità della natura umana: humanae substantiae dignitatem, opera mirabile della tua sapienza e della tua potenza infinita: mirabiliter condidisti. Il corpo stesso dell’uomo è un miracolo di sapienza, che da sé e solo canta la gloria del Creatore, meglio che gli astri del cielo coi loro fulgori: molto più l’anima umana, anche solo considerata nell’ordine naturale, attesta stupendamente le magnificenze del Signore, perché ne rispecchia la luce intellettuale piena d’amore.

martedì 3 novembre 2015

L'amicizia nell'identità sacerdotale - conclusione


a cura di Marcus

Conclusione


K. Wojtyła, in un componimento intitolato Canto del Dio nascosto, si esprime così:
Quando il mare rapidamente ti nasconde
e ti scioglie in abissi silenziosi
– la luce strappa bagliori verticali alle onde languide
e il mare piano finisce, affluisce un chiarore.
E allora, in ogni direzione, negli specchi lontani e vicini,
vedi la tua ombra.
Come ti nasconderai in questa luce?
Sei troppo poco trasparente
e il chiarore alita dappertutto.
In quell’istante – guarda dentro di te. Ecco l’Amico
che è solo una scintilla, eppure è tutt’intera la Luce.
Accogliendo dentro di te quella scintilla
non scorgerai altro,
e non senti di quale Amore sei avvolto[1].

lunedì 2 novembre 2015

Diario di un dolore

a cura di Claudio

Diario di un dolore
di C.S. Lewis
Adelphi edizioni, 1998
  Non raramente capita di imbattersi in un diffuso pregiudizio. In un contesto culturale sempre più secolarizzato e danneggiato da una informazione di massa spesso parziale nel comunicare i contenuti della fede cattolica, si diffonde la comune convinzione che la dimensione spirituale estranei l’uomo dall’integrale esperienza di vita. 
 La frammentazione esistenziale esperita dall’uomo contemporaneo, impegnato nel frenetico tentativo di ricomporre in unità i vari aspetti della vita senza riuscire ad adottarne criteri di sintesi, lo rende incapace di affrontare l’ineludibile momento della prova, della sofferenza fisica o interiore. Si ritrova incapace di individuare e vivere un orizzonte di senso davvero totalizzante. 

 La lettura di Diario di un dolore di C.S. Lewis (1898-1963) è una splendida testimonianza di come la fede in Dio, intrecciandosi e accompagnando la vita dell’uomo, costituisca una sempre rinnovata occasione di rinascita, una fonte sempre accessibile di sano e reale ottimismo.
 Pubblicato nel 1961 con il titolo A Grief Observed (“Osservando un sepolcro”), raccoglie i quattro quaderni dell’autore su cui riporta gli stati d’animo, i pensieri, le sensazioni vissute a seguito della scomparsa della moglie Joy, dopo quattro anni di matrimonio.  
 Attraverso l’esperienza del lutto, Lewis acquista coscienza della progressiva trasformazione della sofferenza.

giovedì 29 ottobre 2015

L'amicizia nell'identità sacerdotale - seconda parte


a cura di Marcus

La virtù dell’amicizia nel sacerdote


 Il sacerdote è uomo che vive nel mondo ma il suo essere non è orientato ad esso, secondo le parole di Cristo, «non siete del mondo, ma vi ho scelti dal mondo» (Gv 15,19). Deve sempre tendere a rendere le relazioni rifrazione della vita trinitaria. Similmente alle relazioni d’amore sussistenti fra le persone divine, così devono formarsi i rapporti con i suoi prossimi.
 Si possono individuare molteplici dimensioni d’amore: l’amore sponsale, quello filiale, le salde relazioni d’amicizia e l’amore per e di Dio. L’amore per Dio e per il prossimo si completano a vicenda. Il primo include e avvalora il secondo.
 La tensione verso un amore trascendente non deve far trascurare l’esistenza dell’amore umano, la cui finitezza costituisce un limite nel quale ciascuno deve sottostare (si pensi, semplicemente, alla dimensione spaziale e temporale).
 Il numero finito delle persone che possiamo conoscere e amare veramente ci rammenta tale limite. Allo stesso tempo aumenta il desiderio per Dio, il cui amore eterno supera ogni ostacolo storico. Per l’uomo, l’amore per l’altro è un bisogno. Affermare la sufficienza dell’amore divino, negando la necessità dell’affetto tra gli uomini, significa dimenticare che questa seconda faccia del comandamento della carità non può essere concepita separatamente dalla prima. Nelle relazioni quotidiane di affetto si impara a tessere il rapporto con l’Amore.

mercoledì 28 ottobre 2015

Suscipe, Sancte Pater...



da Ripariamo!
di P.Giuseppe M. Petazzi SJ
S. Lega eucaristica, Milano 1933

Súscipe, sancte Pater, omnípotens ætérne Deus, hanc immaculátam hóstiam, quam ego indígnus fámulus tuus óffero tibi, Deo meo vivo et vero, pro innumerabílibus peccátis, et offensiónibus, et neglegéntiis meis, et pro ómnibus circumstántibus, sed et pro ómnibus fidélibus christiánis vivis atque defúnctis: ut mihi et illis profíciat ad salútem in vitam ætérnam. Amen

Accetta, Padre santo, onnipotente eterno Dio, questa ostia immacolata, che io, indegno servo tuo, offro a Te Dio mio vivo e vero, per gli innumerevoli peccati, offese e negligenze mie, e per tutti i circostanti, come pure per tutti i fedeli cristiani vivi e defunti, affinché a me ed a loro torni di salvezza per la vita eterna. Amen.

Come mai, o mio Dio, il Sacerdote in questo momento chiama Ostia immacolata quel po’ di pane che si trova ora sulla patena, e per tale offerta ti chiede grazie di salvezza eterna per se stesso e per tutti i fedeli vivi e defunti?
 Oh, mio Gesù, con questa santa preghiera Tu mi riveli una grande consolante verità. Sì, nella patena nel dell’Offertorio non si vede realmente che poco pane destinato a tramutarsi nel tuo Corpo adorabile. In virtù di tal destinazione può giù considerarsi come un’Ostia immacolata, capace di ottenere ogni più grande grazia.
 Così dunque io stesso e tutte le mie piccole cose potranno costituire un’ostia immacolata, se fin dal principio di questo giorno mi metterò con Te, o Signore, sull’Altare del Sacrificio. Oh potere meraviglioso della Santa Messa! Oh ineffabile amore e condiscendenza del mio Signore! Tutto con Te e per Te diventa immacolato, prezioso, accettabile all’infinita Maestà di Dio.

martedì 27 ottobre 2015

L'amicizia nell'identità sacerdotale - prima parte

a cura di Marcus   

Celebre foto di Mario Giacomelli


 Pavel Florenskij scrive: «La potenza e la difficoltà dell’amicizia non si esprimono in un pirotecnico atto di eroismo, ma nella placida fiammella della pazienza di tutta una vita»[1]. L’esperienza dell’amicizia è parte integrante della vita dell’uomo e fin dall’antichità ha trovato spazio nei vari ambiti del sapere. La si ricerca perché si persegue la felicità. Oggi giorno gli uomini sono sempre meno disposti a dedicare spazio e tempo a tessere questa importante relazione.


La virtù dell’amicizia nell’uomo

 La persona umana è un essere in relazione. Per realizzarsi deve necessariamente rapportarsi agli altri. L’uomo è una creatura, non è in grado di bastare a se stessa, per esprimersi ha bisogno della relazione con l’altro.
 Il Prof. Antonio Malo, ordinario di Antropologia filosofica e Psicologia, alla Pontificia Università della Santa Croce, sostiene che nella società odierna si riscontra una sfiducia generale non tanto nell’amicizia in sé, ma nella capacità del soggetto di poterla realizzare. Lo stesso aggiunge, ancora, che ciò è la conseguenza della svalutazione della persona in quanto tale.
 Per poter parlare dell’amicizia come di un elemento necessario all’esistenza dell’uomo, occorre anzitutto esplicitare cosa si intende con il termine necessario. Certamente, l’elemento della necessità, in questo caso non va inteso come un bisogno fisiologico; se l’urgenza di tali bisogni si esaurisce una volta che vengono soddisfatti, per quanto riguarda l’amicizia, invece, avviene il contrario. Fra due persone, una volta divenute amiche, il bisogno reciproco diventa - l’uno per l’altro - elemento sempre più imprescindibile.
 Quindi, l’amicizia fa parte della dimensione essenziale dell’uomo, in quanto la persona ha bisogno di relazioni autentiche per esprimersi. Rapporti positivi, costruttivi e davvero amicali.
 L’origine dell’amicizia non deriva dalla corporeità, come avviene nei legami che intercorrono fra gli sposi o fra i genitori e i figli, dov’è fondamentale la dimensione della sessualità e della consanguineità. Fa riferimento, invece, alla partecipazione della stessa natura dell’uomo.

sabato 10 ottobre 2015

La crisi post-moderna/2

"L'umanesimo disumano”

di Christophorus

G.B. Piranesi, Invenzioni di carceri, 1745-50


Riprendiamo le nostre considerazioni su "La crisi post-moderna". Se nel primo step, dalla situazione odierna, abbiamo proposto alcune osservazioni "metodologiche" e gnoseologiche, ora vogliamo addentrarci maggiormente sulle conseguenza antropologiche di un certo modo di affrontare la realtà e la ricerca del vero.

***


b) “L’umanesimo disumano”

Uno sguardo leale al nostro presente, l’epoca post-moderna, ci autorizza ad affermare che il processo di antropomorfizzazione, già annunciato da Nietzsche, si sta rivelando come anche Heidegger aveva già denunciato, riferendosi al dominio della tecnica – un’operazione in ultima analisi contraria alla verità dell’umano. A sua volta, questo processo pare determinato – sempre in accordo con la lettura heideggeriana – dal discorso onto-teo-logico, che dice l’essere oggettivandolo e concettualizzandolo, riducendolo ad ente. Tale denuncia, però, non sembra restituire ancora la totalità del problema. Per questo motivo, riferendoci al processo nichilistico di riduzione antropomorfica e soggettivistica, preferiamo parlare di umanesimo disumano. Con questa espressione, il teologo Henri De Lubac, in Il dramma dell’umanesimo ateo, affermò che: «L'umanesimo esclusivo è un umanesimo disumano»[1].

venerdì 9 ottobre 2015

Credo in unum Deum


da Ripariamo!
di P.Giuseppe M. Petazzi SJ
S. Lega eucaristica, Milano 1933

 Stupendo è questo grido che da una parte all’altra della terra, in tutte le ore del giorno e della notte, su tutti gli altari del mondo, si eleva a Te, o mio Dio, dalla Santa Chiesa Cattolica. Con questo grido io mi metto in comunione con tutti i Santi che mi hanno preceduto su questa terra ed ora godono la svelata visione di quello stesso che come me un giorno hanno creduto. Mi metto in comunione coi primi Apostoli: che gioia! La mia fede è la loro: attraverso il mutarsi di tutte le cose umane, questa sola è rimasta immutabile: prova stupenda della verità divina: Veritas Domini manet in aeternum.
 Credo, mio Dio, tutto ciò che Tu hai detto, e la tua Chiesa mi insegna: lo credo con certezza incomparabilmente maggiore che se lo vedessi coi miei stessi occhi: anzi per spiegare la mia fede fino alla massima intensità, io mi ripeterò ciò che sul letto di morte, davanti al tuo adorabile Sacramento, disse l’Angelico Dottore San Tommaso: «Se quaggiù ci fosse una certezza maggiore di quella della fede, con tale certezza io vorrei affermare la verità della tua presenza nel Sacramento» ed in generale ogni altra verità che forma l’oggetto della mia fede.

lunedì 5 ottobre 2015

La crisi post-moderna/1

Verum et Bonum

di Christophorus

Magritte - Decalcomania, 1966

Vogliamo proporre qualche considerazione filosofica e teologica in merito alla situazione culturale e antropologica nella quale ci troviamo a vivere. Tali considerazioni, sebbene abbiano una loro unità, verranno proposte in più fasi e porteranno il titolo di "La crisi post-moderna". 
***

Guardando al momento contemporaneo, il processo di antropomorfizzazione, di cui lo stesso Nietzsche è artefice, a occhi leali, si rivela comunque irrisolto anche dopo la denuncia heideggeriana. Tale considerazione ci permette di fare due osservazioni, una a livello generale e metodologico (a), l’altra a livello più specificamente contenutistico (b), cioè riferita al tema poprio dell’antropomorfizzazione. 

a) Verum et Bonum 

Metodologicamente, il riconoscimento di questo stato di cose ci è obbligato per una lealtà nei confronti di ciò che l’esperienza rivela. Il nostro intelletto, per conoscere qualcosa, è costretto a passare attraverso il dato esperienziale e sensibile: è esperienza comune che la mancanza, oppure l’uso monco o errato dei sensi comprometta la conoscenza[1]. Davanti ai dati derivati dall’esperienza siamo chiamati a un atteggiamento di lealtà, affinché si possa raggiungere una conoscenza vera e razionale. Tale comportamento è una responsabilità, nel senso di un utilizzo della libertà che sceglie di arrendersi alla notizia che l’essere offre di sé nell’esperienza.

sabato 3 ottobre 2015

Dominus vobiscum


da Ripariamo!
di P.Giuseppe M. Petazzi SJ
S. Lega eucaristica, Milano 1933

 Prima di rivolgere questo divino saluto, di fare al popolo questo santo augurio, il tuo sacerdote, o Gesù, bacia l’altare. Quest’ultimo rappresenta Te stesso. Dunque il Sacerdote ti bacia, per comunicare alle anime il tuo bacio e con esso il tuo Spirito. Di fatto lo Spirito Santo è detto il bacio divino: è il bacio d’amore nel seno stesso della Divinità: bacio del Padre al Verbo e del Verbo al Padre.

venerdì 2 ottobre 2015

Ponte gettato sui laghi sereni, per chi dunque sei fatto e dove meni?

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di Francesco Andrighetti

Davanti alla realtà, questa domanda di Pascoli accompagna l’esistenza di ciascun uomo e di ciascuna donna sin dai primissimi anni di vita. E’ come una costante che sostiene i momenti più belli come quelli più duri. È quella domanda di senso che sostiene il camminare, il cercare, il vivere di tutti e di ciascuno. È quella domanda di Dio davanti al mistero che ogni vita è. Nulla, anche se talvolta non appare con evidenza, preme più di questa domanda. Il prete, nei confronti del suo fratello uomo, ha una duplice responsabilità educativa: far emergere prepotentemente questa domanda di senso e aiutare nel corso della ricerca. Il prete che in modo misterioso sta dentro ma anche davanti alla comunità, è mosso da un’urgenza educativa. Egli, come ogni altro educatore, è chiamato ad aiutare i più piccoli, i più giovani ad ascoltare il cuore e a seguire questa domanda di senso. 

giovedì 10 settembre 2015

Gloria in excelsis Deo!

 

da Ripariamo!
di P.Giuseppe M. Petazzi SJ
S. Lega eucaristica, Milano 1933

Signore Dio mio, Padre, Figlio e Spirito Santo, i cieli e la terra son pieni della tua gloria; il Paradiso sarà la manifestazione della tua gloria, e i raggi della tua bellezza infinita renderanno beati gli eletti nei secoli eterni.
 “Noi saremo allora simili a Lui, perché Lo vedremo come Egli è”. Signore onnipotente, candore di luce eterna, noi ti benediciamo, ti glorifichiamo, ti ringraziamo per la tua gloria infinita.
 Godere dei tuoi divini attributi, esaltare la tua potenza, santità, bellezza, bontà e misericordia, riposarci e compiacerci in queste tue ineffabili grandezze, e quasi uscendo di noi, dimenticando noi stessi, ringraziarti per la gloria immensa, è la preghiera di lode più perfetta e più pura, quella che più rassomiglia all’inno di esultanza che cantano eternamente in Cielo gli Angeli e i Beati.


martedì 8 settembre 2015

Deus tu conversus vivificabis nos...


da Ripariamo!
di P.Giuseppe M. Petazzi SJ
S. Lega eucaristica, Milano 1933

Il tuo sguardo, Signore, è per il mondo delle anime quello che è il raggio del sole per il mondo materiale: illumina, vivifica, feconda. Tu hai guardato la Maddalena peccatrice, e dell’anima sua, deturpata e avvilita da tante colpe, hai creato un capolavoro della tua grazia: una creatura che non ha sete che della tua parola, che inonda i tuoi piedi di lacrime di contrizione, che spezza dinanzi a Te l’alabastro del suo cuore; che non vede più il mondo che sogghigna, che non vede più che Te, Gesù Salvatore, e ti segue in un’ascesa sublime, nelle fatiche dell’apostolato e nelle ignominie della Croce, fino a meritare la grazia suprema di sentirsi purificata e angelicata, sul Calvario, dalla pioggia del tuo Sangue redentore; fino a meritare di vedere il suo lungo pianto d’amore e d’attesa consolato dalla tua apparizione dopo la Risurrezione, e di raccogliere dalla tua bocca divina che la chiama per nome: Maria! l’invito ineffabile che la rende apostola degli Apostoli: “Va ai miei fratelli e dì loro che io salgo verso il Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”.
 Tu hai guardato Pietro che ti aveva rinnegato: Et conversus Domuns respexit Petrum; e l’amore e il dolore hanno aperto nel suo cuore la vena di un pianto che non si è più arrestato e che ha scavato nel suo volto due solchi profondi; il tuo sguardo gli rende la potenza di proclamare il suo amore dinanzi alla Chiesa nascente: Domine, tu scis quia amo Te; il tuo sguardo lo condurrà al martirio di croce, martirio consumato in un atto di ineffabile umiltà: crocifisso come Te, ma con la testa in basso, verso la terra, quasi a testimoniare col sangue e con la suprema umiliazione, la divina potenza della tua grazia e della tua redenzione amorosa.


lunedì 27 luglio 2015

Spirito della liturgia/1

Condividiamo con i nostri lettori l’interessante scritto del Card. Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, apparso sull’ “Osservatore Romano” il 12 giugno. Sintesi esaustiva della costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia, il presule ribadisce con forza l’attualità del documento ma, soprattutto, sottolinea l’urgenza di recuperare lo spirito che animava l’autentico e necessario rinnovamento voluto dai padri conciliari.

Cinquant’anni dopo la sua promulgazione da parte di Papa Paolo VI, si leggerà, infine, la costituzione del concilio Vaticano II sulla sacra liturgia? La Sacrosanctum concilium non è di fatto un semplice catalogo di ricette di riforme, ma una vera e propria magna charta di ogni azione liturgica.

 Il concilio ecumenico ci dà in essa una magistrale lezione di metodo. In effetti, lungi dall’accontentarsi di un approccio disciplinare ed esteriore alla liturgia, il concilio vuole farci contemplare ciò che è nella sua essenza. La pratica della Chiesa deriva sempre da quello che riceve e contempla nella rivelazione. La pastorale non si può disconnettere dalla dottrina.


sabato 30 maggio 2015

Il sacerdozio cattolico/2

ESSERE SACERDOTE OGGI

Cinquant'anni di sacerdozio non sono pochi. Quante cose sono avvenute in questo mezzo secolo di storia! Si sono affacciati alla ribalta nuovi problemi, nuovi stili di vita, nuove sfide. Viene spontaneo chiedersi: cosa comporta essere sacerdote oggi, in questo scenario in grande movimento, mentre si va verso il terzo Millennio?
Non v'è dubbio che il sacerdote, con tutta la Chiesa, cammina col proprio tempo, e si fa ascoltatore attento e benevolo, ma insieme critico e vigile, di quanto matura nella storia. Il Concilio ha mostrato come sia possibile e doveroso un autentico rinnovamento, nella piena fedeltà alla Parola di Dio ed alla Tradizione. Ma al di là del dovuto rinnovamento pastorale, sono convinto che il sacerdote non deve avere alcun timore di essere «fuori tempo», perché l'«oggi» umano di ogni sacerdote è inserito nell'«oggi» del Cristo Redentore. Il più grande compito per ogni sacerdote e in ogni tempo è ritrovare di giorno in giorno questo suo «oggi» sacerdotale nell'«oggi» di Cristo, in quell'«oggi» del quale parla la Lettera agli Ebrei. Questo «oggi» di Cristo è immerso in tutta la storia — nel passato e nel futuro del mondo, di ogni uomo e di ogni sacerdote. «Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e sempre» (Eb 13, 8). Quindi, se siamo immersi con il nostro umano, sacerdotale «oggi» nell'«oggi» di Gesù Cristo, non esiste il pericolo che si diventi di «ieri», arretrati... Cristo è la misura di tutti i tempi. Nel suo divino-umano, sacerdotale «oggi», si risolve alla radice tutta l'antinomia — una volta così discussa — tra il «tradizionalismo» e il «progressismo».


venerdì 29 maggio 2015

Maria, Stella del mattino

Van Gogh, Notte stellata, 1889 - Museum of Modern Art, New York


«[…] dovete splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita» (Fil 2,15-16)

di Francesco Andrighetti


  1. L’uomo colmo di desiderio per Cristo, Sole che sorge
«Infinito stellato, tu, la notte alla mente / che ti sta ansiosa dici che sei il mistero; / il giorno effimero ti nasconde allo sguardo, / il giorno che è nulla nell’immenso tuo, / il giorno che è tutta la vita dell’uomo. / Infinito oscuro, stellato, / solo al tuo silenzio comprende l’uomo / che tra un’eternità tu gli sarai / ancora un mistero, / sempre un mistero» (C. Pavese, Le poesie, Einaudi, Torino 1998, 150). Solo l’uomo è così: guarda il cielo e contempla il mistero, domanda della vita e di Dio. Quale promessa ha in sé un cielo stellato? Sotto un cielo stellato l’uomo desidera e si sente fatto per l’infinito. Questo è vero anche per chi, come Pavese – autore di questa poesia–, non crede. Le stelle sono l’impronta di una presenza che abita il cielo, dicono la verità di quello che siamo, e la tensione che noi proviamo per esse sono come un residuo dell’umano desiderio di Dio che nessun potere potrà mai cancellare. Tuttavia, il Mistero non ci ha abbandonati al nostro destino e il cielo ha un volto definito: Cristo è il Sole che domina il cielo permettendoci di venire al mondo, di vivere, di desiderare, di gioire e di amare. In Cristo crocifisso e vincitore della morte il Mistero si è rivelato come un Dio che ama, accompagna e sostiene la vita di tutti e ciascuno. Il Dio trino, svelato in Cristo, è la verità di quel desiderio, di quel bisogno di eternità, che abita in ciascuno anche nelle notti più buie della nostra vita.

  1. Maria, prima ed ultima stella nel disegno di salvezza
Da sempre, l’uomo è rimasto affascinato dalla prima stella della sera, che è anche l’ultima del mattino. Splendente come nessuna all’incalzare della notte, essa è per noi speranza e promessa del nuovo giorno: è presenza splendente e rassicurante quando le tenebre sembrano prevalere sulla luce. Al mattino, dopo aver accompagnato la notte, sembra annunciare e lasciar spazio al Sole che dona nuovamente calore e vita. La tradizione cristiana ha sin dai primi secoli attribuito questo ruolo di umile ancella e di fedele messaggera a Maria, chiamandola Stella del mattino. Maria è la «Stella radiosa del mattino» (Ap 22,16), perché annuncia il Sole. Maria, bellissima, brilla il giorno dell’Annunciazione, quando tutto il creato attende il suo fiat e l’accadere del Mistero nella storia; la cui certezza indica la fonte che colma la tristezza delle nozze di Cana; la sua fede illumina la notte della croce e riempie il vuoto del sabato santo; la sua preghiera colma di speranza l’attesa dello Spirito nel Cenacolo. Maria è presente all’inizio e alla fine delle notti e dei giorni che compongono la missione del Figlio e della Chiesa. Anche oggi, essa brilla davanti al Popolo di Dio «quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore» (LG 68).

  1. Maria, splendente della luce del Figlio
La prima e l’ultima stella del mattino, in realtà, è un pianeta: Venere. I pianeti sono riconoscibili per la loro luce ferma, stabile e particolarmente luminosa. Essi non brillano di nessuna luce propria, ma tutta la luce che emanano è riflessa: la stella del mattino splende della luce Sole. Maria è la stella più bella perché, essendo la più vicina al Figlio, brilla tutta della Sua luce, del Sole che, grazie a questa stella, continua la sua presenza anche quando non s’impone in tutto il suo splendore. Maria vive della luce del Figlio di Dio che, per la nostra salvezza, ha portato nel grembo, ha cresciuto con dolcezza materna e donato con libertà al mondo. Al Figlio che tiene tra le braccia nella grotta a Betlemme come sotto la croce sul Calvario, Maria sembra dire: «Figlio mio […] / […] nessuno scrutò fino in fondo gli eventi incredibili che tutti ogni giorno sfioravano – […]/ Ma io sapevo: la luce che si snoda in questi eventi / come fibra scintilla nascosta sotto la scorza dei giorni /sei Tu. / Non io l’irradiavo – pure fosti più mio in quel bagliore, in quel silenzio / che come frutto della mia carne e del mio sangue» (K. Wotjła, La madre, in Poesie, Newton, Roma 1994, 77). È così che Giovanni Paolo II descrive la coscienza della Madonna: ella viveva di questa presenza eccezionale che, con libertà obbediente perché amante, ha deciso di accogliere, diventando la prima di una moltitudine di stelle chiamate e destinate ad essere segno di speranza e di salvezza per il mondo, memoria di Cristo nella vita dell’uomo.

  1. Chiamati a «splendere come astri nel mondo» (Fil 2,15-16)

Quello che si dice di Maria si deve/dovrebbe dire della Chiesa, è per questo che torna alla mente Paolo che ci invita a «[…] splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita» (Fil 2,15-16). La vita del discepolo «ha in ogni battito la tremenda misura dell’eterno» (A. Negri, Tempo, in Mia giovinezza, Bur, Milano 1995, 75), perché Cristo è diventato il centro, il fattore totalizzante, il criterio ultimo di ogni istante. Il “tremendo” è dovuto all’incapacità di comprendere e corrispondere pienamente al compito affidatoci. L’incontro totalizzante con Cristo è un rinascere dall’alto (Cfr. Gv 3,3), un dono della grazia, dello Spirito, azione reale di Dio nella storia. Esso è come un piccolo seme pieno di una promessa di cui ancora non si conosce lo sviluppo: un inizio che ci chiama a una responsabilità, cioè a un rapporto, a una vita che non si concepisce più da sola ma che brilla di un’Altro. Da questa responsabilità si genera una personalità nuova, un volto nuovo, diverso, riconoscibile e protagonista della storia. Il nostro volto, infatti, non prende forma per un titolo o un lavoro, per il rapporto con una donna o perché siamo in seminario, ma per la responsabilità davanti al nostro destino, cioè con l’incontro che abbiamo fatto di Cristo: la sequela di Cristo genera un nuovo modo di mangiare, bere, lavorare, parlare, dormire, studiare, amare, vivere e morire. Non c’è aspetto nel quale il cristiano non sia chiamato ad essere testimone e a cambiare il mondo secondo il suo destino, secondo un’umanità più vera, più bella, più carica di attesa di Colui che deve venire. L’umanità del discepolo è l’umanità che Maria in modo misterioso ha ricevuto e donato a suo Figlio, Gesù Cristo: questa dovrebbe essere la nostra tensione ed è la nostra vocazione. Facile? No! È per questo che la preghiamo in ginocchio. Quando cantiamo alla Madonna il titolo di “Stella del Mattino”, chiediamole che avvenga anche per noi quell’incontro totalizzante con il Suo Figlio capace di rinnovarci; chiediamole che la nostra libertà sia tutta tesa ad accogliere quella grazia che ci fa testimoni del mattino splendente della Pasqua di Cristo; chiediamole la fede, cioè la certezza di questo mattino, cosicché il nostro cuore, tutto il nostro io, non rimanga in silenzio davanti alla domanda che ogni uomo pone al suo fratello: «Sentinella, quanto resta della notte?» (Is 21,12).

martedì 26 maggio 2015

Il sacerdozio cattolico/1



In questo spazio virtuale offerto per l'autoformazione cristiana, pubblichiamo in due momenti, un estratto interessante dal celebre scritto di San Giovanni Paolo II, riguardante la figura e l'identità sacerdotale. Il brano è tratto da "Dono e Mistero", pubblicato in occasione del 50esimo anniersario sacerdotale del Santo Pontefice.

CHI È IL SACERDOTE?

Non posso fare a meno, in questa mia testimonianza, di andare oltre il ricordo degli eventi e delle persone, per fissare lo sguardo più in profondità, quasi per scrutare il mistero che da cinquant'anni mi accompagna e mi avvolge.
Che significa essere sacerdote? Secondo San Paolo significa soprattutto essere amministratore dei misteri di Dio: «Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele» (1 Cor 4, 1-2). Il termine «amministratore» non può essere sostituito con nessun altro. Esso è radicato profondamente nel Vangelo: si ricordi la parabola sull'amministratore fedele e su quello infedele (cfr Lc 12, 41-48). L'amministratore non è il proprietario, ma colui al quale il proprietario affida i suoi beni, affinché li gestisca con giustizia e responsabilità. Proprio così il sacerdote riceve da Cristo i beni della salvezza, per distribuirli nel modo dovuto tra le persone alle quali viene inviato. Si tratta dei beni della fede. Il sacerdote, pertanto, è uomo della parola di Dio, uomo del sacramento, uomo del «mistero della fede». Attraverso la fede egli accede ai beni invisibili che costituiscono l'eredità della Redenzione del mondo operata dal Figlio di Dio. Nessuno può ritenersi «proprietario» di questi beni. Tutti ne siamo destinatari. In forza, però, di ciò che Cristo ha stabilito, il sacerdote ha il compito di amministrarli.

Admirabile commercium!
La vocazione sacerdotale è un mistero. E il mistero di un «meraviglioso scambio» — admirabile commercium — tra Dio e l'uomo. Questi dona a Cristo la sua umanità, perché Egli se ne possa servire come strumento di salvezza, quasi facendo di quest'uomo un altro se stesso. Se non si coglie il mistero di questo «scambio», non si riesce a capire come possa avvenire che un giovane, ascoltando la parola «Seguimi!», giunga a rinunciare a tutto per Cristo, nella certezza che per questa strada la sua personalità umana si realizzerà pienamente.
C'è al mondo una realizzazione della nostra umanità che sia più grande del poter ripresentare ogni giorno in persona Christi il Sacrificio redentivo, lo stesso che Cristo consumò sulla croce? In questo Sacrificio, da una parte è presente nel modo più profondo lo stesso Mistero trinitario, dall'altra è come «ricapitolato» tutto l'universo creato (cfr Ef 1, 10). Anche per offrire «sull'altare della terra intera il lavoro e la sofferenza del mondo», secondo una bella espressione di Teilhard de Chardin, si compie l'Eucaristia. Ecco perché, nel ringraziamento dopo la Santa Messa, si recita anche il Cantico dei tre giovani dell'Antico Testamento:Benedicite omnia opera Domini Domino... In effetti, nell'Eucaristia tutte le creature visibili e invisibili, e in particolare l'uomo, benedicono Dio come Creatore e Padre, lo benedicono con le parole e l'azione di Cristo, Figlio di Dio.

Sacerdote ed Eucaristia
«Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli (...) Nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Lc 10, 21-22). Queste parole del Vangelo di San Luca, introducendoci nell'intimo del mistero di Cristo, ci consentono di accostarci anche al mistero dell'Eucaristia. In essa il Figlio consostanziale al Padre, Colui che soltanto il Padre conosce, Gli offre in sacrificio se stesso per l'umanità e per l'intera creazione. Nell'Eucaristia Cristo restituisce al Padre tutto ciò che da Lui proviene. Si realizza così un profondo mistero di giustizia della creatura verso il Creatore. Bisogna che l'uomo renda onore al Creatore offrendo, con atto di ringraziamento e di lode, tutto ciò che da Lui ha ricevuto. L'uomo non può smarrire il senso di questo debito, che egli soltanto, tra tutte le altre realtà terrestri, può riconoscere e saldare come creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio. Nello stesso tempo, dati i suoi limiti di creatura e il peccato che lo segna, l'uomo non sarebbe capace di compiere questo atto di giustizia verso il Creatore, se Cristo stesso, Figlio consostanziale al Padre e vero uomo, non intraprendesse questa iniziativa eucaristica.
Il sacerdozio, fin dalle sue radici, è il sacerdozio di Cristo. E Lui che offre a Dio Padre il sacrificio di se stesso, della sua carne e del suo sangue, e con il suo sacrificio giustifica agli occhi del Padre tutta l'umanità e indirettamente tutto il creato. Il sacerdote, celebrando ogni giorno l'Eucaristia, scende nel cuore di questo mistero. Per questo la celebrazione dell'Eucaristia non può non essere, per lui, il momento più importante della giornata, il centro della sua vita.

In persona Christi
Le parole che ripetiamo a conclusione del Prefazio — «Benedetto colui che viene nel nome del Signore...» — ci riportano ai drammatici avvenimenti della Domenica delle Palme. Cristo va a Gerusalemme per affrontare il cruento sacrificio del Venerdì Santo. Ma il giorno precedente, durante l'Ultima Cena, ne istituisce il sacramento. Pronuncia sul pane e sul vino le parole della consacrazione: «Questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi.(...) Questo è il calice del mio Sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me».
Quale «memoria»? Sappiamo che a questo termine occorre dare un senso forte, che va ben oltre il semplice ricordo storico. Siamo qui nell'ordine del biblico «memoriale», che rende presente l'evento stesso. E memoria-presenza! Il segreto di questo prodigio è l'azione dello Spirito Santo, che il sacerdote invoca, mentre impone le mani sopra i doni del pane e del vino: «Santifica questi doni con l'effusione del tuo Spirito, perché diventino per noi il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo nostro Signore». Non è dunque solo il sacerdote che ricorda gli avvenimenti della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo; è lo Spirito Santo che fa sì che essi si attuino sull'altare attraverso il ministero del sacerdote. Questi agisce veramente in persona Christi. Quello che Cristo ha compiuto sull'altare della Croce e che prima ancora ha stabilito come sacramento nel Cenacolo, il sacerdote lo rinnova nella forza dello Spirito Santo. Egli viene in questo momento come avvolto dalla potenza dello Spirito Santo e le parole che pronuncia acquistano la stessa efficacia di quelle uscite dalla bocca di Cristo durante l'Ultima Cena.

Mysterium fidei
Durante la Santa Messa, dopo la transustanziazione, il sacerdote pronuncia le parole:Mysterium fidei, Mistero della fede! Sono parole che si riferiscono, ovviamente, all'Eucaristia. In qualche modo, tuttavia, esse concernono anche il sacerdozio. Non esiste Eucaristia senza sacerdozio, come non esiste sacerdozio senza Eucaristia. Non soltanto il sacerdozio ministeriale è legato strettamente all'Eucaristia; anche il sacerdozio comune di tutti i battezzati si radica in tale mistero. Alle parole del celebrante i fedeli rispondono: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta». Nella partecipazione al Sacrificio eucaristico i fedeli diventano testimoni di Cristo crocifisso e risorto, impegnandosi a vivere quella sua triplice missione — sacerdotale, profetica e regale — di cui sono investiti fin dal Battesimo, come ha ricordato il Concilio Vaticano II.
Il sacerdote, quale amministratore dei «misteri di Dio», è al servizio del sacerdozio comune dei fedeli. E lui che, annunziando la Parola e celebrando i sacramenti, specie l'Eucaristia, rende sempre più consapevole tutto il popolo di Dio della sua partecipazione al sacerdozio di Cristo, e contemporaneamente lo spinge a realizzarla pienamente. Quando, dopo la transustanziazione, risuonano le parole: Mysterium fidei, tutti sono invitati a rendersi conto della particolare densità esistenziale di questo annuncio, in riferimento al mistero di Cristo, dell'Eucaristia, del Sacerdozio.
Non trae forse di qui la sua motivazione più profonda la stessa vocazione sacerdotale? Una motivazione che è già tutta presente al momento dell'Ordinazione, ma che attende di essere interiorizzata e approfondita nell'arco dell'intera esistenza. Solo così il sacerdote può scoprire in profondità la grande ricchezza che gli è stata affidata. A cinquant'anni dall'Ordinazione, posso dire che ogni giorno di più in quel Mysterium fidei si ritrova il senso del proprio sacerdozio. E lì la misura del dono che esso costituisce, e lì è pure la misura della risposta che questo dono richiede. Il dono è sempre più grande! Ed è bello che sia così. E bello che un uomo non possa mai dire di aver risposto pienamente al dono. E un dono ed è anche un compito: sempre! Avere consapevolezza di questo è fondamentale per vivere appieno il proprio sacerdozio.

Cristo, Sacerdote e Vittima
La verità sul sacerdozio di Cristo mi ha parlato sempre con straordinaria eloquenza attraverso le Litanie che si usava recitare nel seminario di Cracovia, in particolare alla vigilia dell'Ordinazione presbiterale. Alludo alle Litanie a Cristo Sacerdote e Vittima. Quali pensieri profondi esse suscitavano in me! Nel sacrificio della Croce, ripresentato e attualizzato in ogni Eucaristia, Cristo offre se stesso per la salvezza del mondo. Le invocazioni litaniche passano in rassegna i vari aspetti del mistero. Esse mi tornano alla memoria con il simbolismo evocatore delle immagini bibliche di cui sono intessute. Me le ritrovo sulle labbra nella lingua latina in cui le ho recitate durante il seminario e poi tante volte negli anni successivi:

Iesu, Sacerdos et Victima,
Iesu, Sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedech, ...

Iesu, Pontifex ex hominibus assumpte,

Iesu, Pontifex pro hominibus constitute, ...
Iesu, Pontifex futurorum bonorum, ...
Iesu, Pontifex fidelis et misericors, ...
Iesu, Pontifex qui dilexisti nos et lavisti nos a peccatis in sanguine tuo, ...
Iesu, Pontifex qui tradidisti temetipsum Deo oblationem et hostiam, ... 
Iesu, Hostia sancta et immaculata, ...
Iesu, Hostia in qua habemus fiduciam et accessum ad Deum, ... Iesu, Hostia vivens in saecula saeculorum...

Quale ricchezza teologica in queste espressioni! Sono litanie profondamente radicate nella Sacra Scrittura, soprattutto nella Lettera agli Ebrei. Basti rileggerne questo brano: «Cristo (...) come sommo sacerdote dei beni futuri (...) entrò una volta per sempre nel santuario non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue, dopo averci ottenuto una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli (...) sparsi su quelli che sono contaminati, li santificano, purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo, il quale con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente?» (Eb 9, 11-14). Cristo è sacerdote perché Redentore del mondo. Nel mistero della Redenzione si inscrive il sacerdozio di tutti i presbiteri. Questa verità sulla Redenzione e sul Redentore si è radicata nel centro stesso della mia coscienza, mi ha accompagnato per tutti questi anni, ha impregnato tutte le mie esperienze pastorali, mi ha svelato contenuti sempre nuovi.
In questi cinquant'anni di vita sacerdotale mi sono reso conto che la Redenzione, prezzo che doveva essere pagato per il peccato, porta con sé anche una rinnovata scoperta, quasi una «nuova creazione», di tutto ciò che è stato creato: la riscoperta dell'uomo come persona, dell'uomo creato da Dio maschio e femmina, la riscoperta, nella loro verità profonda, di tutte le opere dell'uomo, della sua cultura e civiltà, di tutte le sue conquiste e attuazioni creative.
Dopo l'elezione a Papa, il mio primo impulso spirituale fu di volgermi verso Cristo Redentore. Ne nacque l'Enciclica Redemptor Hominis. Riflettendo su tutto questo processo, vedo sempre meglio lo stretto legame tra il messaggio di questa Enciclica e tutto ciò che si iscrive nell'animo dell'uomo mediante la partecipazione al sacerdozio di Cristo.