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martedì 10 novembre 2015

Deus qui humanae substantiae...


da Ripariamo!
di P.Giuseppe M. Petazzi SJ
S. Lega eucaristica, Milano 1933

Deus, qui humánæ substántiæ dignitátem mirabíliter condidísti, et mirabílius reformásti: da nobis per huius aquae et vini mystérium, eius divinitátis esse consórtes, qui humanitátis nostrae fieri dignátus est párticeps, Iesus Christus Fílius tuus Dóminus noster: Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia saécula saeculórum. Amen. 

O Dio, che in modo meraviglioso creasti la nobile natura dell'uomo, e piú meravigliosamente ancora l'hai riformata, concedici di diventare, mediante il mistero di quest'acqua e di questo vino, consorti della divinità di Colui che si degnò farsi partecipe della nostra umanità, Gesú Cristo tuo Figlio, Nostro Signore, che è Dio e vive e regna con Te nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Cosí sia. 

 Come è meravigliosa, o mio Dio, la preghiera che il tuo Sacerdote recita nell’atto di infondere alcune stille d’acqua nel vino! Ci ricorda anzitutto la dignità della natura umana: humanae substantiae dignitatem, opera mirabile della tua sapienza e della tua potenza infinita: mirabiliter condidisti. Il corpo stesso dell’uomo è un miracolo di sapienza, che da sé e solo canta la gloria del Creatore, meglio che gli astri del cielo coi loro fulgori: molto più l’anima umana, anche solo considerata nell’ordine naturale, attesta stupendamente le magnificenze del Signore, perché ne rispecchia la luce intellettuale piena d’amore.

Ma molto più mirabile è la formazione dell’uomo, mirabiliter condidisti, se penso che nell’atto stesso di crearlo, Tu, o Signore, gli hai infuso la grazia, ineffabile partecipazione della tua natura, stupenda espansione della tua vita divina. Per mezzo della grazia, la Trinità Santissima prese ad inabitare nell’anima umana, elevandone tutte le attività ad un ordine superiore e veramente divino; il cui termine doveva essere la beatitudine stessa di cui Dio è beato.
 Ah! Mio Signore, hai tanto amato l’uomo che nell’atto stesso di crearlo, gli hai detto: “Ego ero merces tua magna nimis” (Gn 15,1): la tua intelligenza sarà saziata dalla luce mia infinita, il tuo cuore si delizierà, s’inebrierà del mio amore, della mia gioia infinita.
 Ma purtroppo l’uomo ben presto rinunciò ai doni ineffabili della tua liberalità, o mio Dio! E divenendo schiavo del peccato, non solo perdette gli ineffabili doni della tua grazia, ma venne meno anche alla tua stessa dignità: l’anima si perdette nelle tenebre di errori infiniti; e il corpo divenuto strumento di corruzione, travolse l’uomo nell’abiezione della morte. Tu avresti potuto abbandonare questa ingrata creatura nell’abisso dei mali in cui si era precipitata allontanandosi da Te.
 Invece ne hai avuto pietà: mirabilibus reformasti, ed in un modo ancor più mirabile hai ricostruito l’umana natura. O Ricostruttore, o Riparatore divino, o mio Gesù, ti benedico e ti ringrazio con tutto il mio cuore, perché ti sei degnato di abbassarti a questa povera tua creatura, e in un eccesso d’amore infinito, l’hai voluta abbracciare con un intimo, indissolubile amplesso, nell’Umanità tua Sacrosanta. Hai voluto proprio assumere nella tua stessa divina Persona: propter nos homines et propter nostram salutem descendit de coelo et incarnatus est: e perché l’uomo ridiventasse Dio, Tu stesso, o mio Dio, sei diventato uomo: Deus factus est homo, ut homo fieret Deus (Sant’Agostino).
 Chi mai avrebbe potuto sospettare un simile pensiero d’amore? Per gli Angeli stessi fu mistero inaccessibile: per molti fu occasione di scandalo e di rovina. Ma Tu, o Signore, hai voluto lasciare le novantanove pecorelle dell’ovile celeste, cioè gli Angeli del cielo, per rintracciare questa povera pecorella umana, smarrita nei sentieri tortuosi della colpa. In questo momento il tuo sacerdote, infondendo alcune gocce d’acqua nel vino del calice, esprime appunto l’unione stupenda della Umanità alla Divinità nella tua adorabile Persona. O magnum pietatis Sacramentum! Io lo adoro in un’estasi di riconoscenza e di amore.
 Ti sei tanto abbassato, o mio Dio, da voler partecipare della nostra umanità, humanitas nostrae fieri dignatus es particeps, per poterci elevare al consorzio della tua Divinità: divinitatis consortes. Ed in Te, o Signore, la nostra natura è già stata divinizzata in Te e per Te io posso ben dire che l’anima mia e il mio stesso corpo sono ammessi al consorzio della Divinità.
 Di fatto non sei Tu, o Gesù, il mio Capo? Non sono io, quantunque sì miserabile, un vero tuo membro? Non mi hai Tu ammonito solennemente, per bocca di un tuo grande ministro: memento cuius capitis sis membrum? (San Leone Magno). Dunque se il mio Capo è divino, divino devo essere io pure, che sono suo membro.
 Ma la condizione indispensabile perché in me pure possa compiersi un tanto mistero è espressa ancora nella infusione che il Sacerdote fa di alcune stille d’acqua nel vino che si contiene nel Calice. Quelle stille d’acqua rappresentano ancora, secondo l’insegnamento del tuo Santo Martire Cipriano, le mie pene, le mie lacrime; quel vino rappresenta il tuo Sangue, o Gesù!
 È necessario che il mio sacrificio personale sia congiunto al tuo, perché in me si compia il mistero altissimo del consorzio con la Divinità.
 Che cosa potranno essere mai, o Signore, i miei sacrifici anche più dolorosi, di fronte a quelli che Tu hai compiuto per me, e adesso rinnovi misticamente su questo altare? Eppure a quel modo che anche quelle stille d’acqua versate nel Calice, nel momento della consacrazione si muteranno nel vero tuo Sangue, così è vero, o Signore, che anche i miei piccoli sacrifici acquisteranno il valore del tuo grande Sacrificio; le mie sterili lacrime, il sangue del mio misero cuore, cose in sé di nessun valore, avranno il valore dello stesso tuo Sangue divino. Per questo appunto, Tu rinnovi il tuo Sacrificio su questo Altare, per valorizzare i miei poveri sacrifici, per dare ad essi una virtù divina.

 Dunque il consorzio con la tua Passione è la condizione per cui io potrò raggiungere il consorzio della tua Divinità. Solo distruggendo con Te e per Te il corpo del peccato (Rm 6,6), potrò ricostruire in me l’opera stupenda della tua grazia e del tuo amore.