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martedì 2 febbraio 2016

Les choristes

Regia di Christophe Barratier - Francia, 2004


 di Claudio Benvenuti

 Ambientato in un collegio per bambini orfani o problematici nella Francia del 1949, il film Les choristes offre particolari spunti di riflessione, specialmente sul tema dell’educazione.
 Il protagonista, Pierre Morhange, interpretato da Jean Baptiste Maunier, è divenuto un celebre direttore d’orchestra. Ormai superata la mezza età, poco prima di un importante concerto, la notizia della morte della madre lo raggiunge. Dopo le esequie viene visitato da un vecchio amico che gli dona il diario del vecchio sorvegliante al collegio Fond de l’étang. Sarà l’inizio di un lungo ricordo.
 Entra in scena la figura di Clément Mathieu, narratore e coprotagonista per gran parte del film. L’attenzione dello spettatore viene accompagnata sul modo con cui quest’uomo, apparentemente insignificante, riesce a divenire sorgente di speranza per molti ragazzi. Destinati a rimanere ai margini della società francese, schiacciati da un’educazione fondata sul deleterio principio azione-reazione, da subito si rivelano ribelli nei confronti di un’autorità distaccata e rigida.

L’educatore è disposto a farsi pro-vocare. Mathieu si fa educatore primariamente di se stesso. Senza saperlo, i ragazzi permettono al sorvegliante di compiere un personale esodo verso un nuovo orizzonte. Mathieu si riappacifica con il passato fallimentare, riconciliandosi con un suo talento sommerso. Tale riconquista personale diviene occasione di riscatto per i più prossimi.
 I colori del film contribuiscono a trasmettere la cupezza del collegio: marrone, grigio e nero prevalgono nel pennellare un ambiente chiuso, isolato e severo, nel descrivere i tratti un mentalità chiusa e intollerante.
 Clément Mathieu incomincia l’originale opera educativa con decisa dolcezza e sapiente equilibrio. Timidamente, ma con esemplare determinazione, si propone non solo maestro, ma soprattutto padre. Fin dai primi minuti del film si contrappongono due modelli educativi: quello del direttore Rachin, autoritario fino al ridicolo e quello del nuovo assunto, Mathieu dai tratti divertenti e talvolta goffi, ma comprensivi, in grado di cogliere il significato profondo delle reazioni adolescenziali.
 Mathieu è un compositore senza successo. Varca i cancelli del collegio avendo già deciso di recidere definitivamente con la musica. Seppur con fare infantile e canzonatorio, si accorge che i ragazzi cantano. Si apre allora uno spiraglio di speranza. 
«Prendili per mano e portali verso un altro domani. Nel buio della disperazione un raggio di speranza. L’amore per la vita aprirà sentieri di gioia» così li fa cantare Mathieu. La colonna sonora ad opera di Bruno Coulais è meritevole di lode e molto significativa per la funzione didascalica.
 Dopo aver recepito come sfida la rabbiosa disillusione del direttore, Mathieu propone il canto corale. Si rivelerà benefico per tutto il clima interno al collegio. Al grigiore della nebbia di Fond de l’étang segue un caldo sole splendente pari alla bella umanità trasmessa dal nuovo sorvegliante.
 Appare quasi un’interruzione del film l’ingresso in collegio di Pascal Modain. Patologicamente instabile, proveniente dal riformatorio, dovrebbe mostrarsi capace di integrarsi nel nuovo contesto. Invece, risulta un grave ostacolo alla serenità del gruppo. Contagia i compagni con la violenza verbale e fisica cercando alleati nel male. Sarà la prova indiretta che anche la bontà dell’iniziativa educativa nei confronti della gioventù può attuarsi e portare buoni risultati soltanto quando vi è un’anche solo una timida partecipazione del singolo, un individuale coinvolgimento, un almeno debole desiderio di ricercare insieme il bene, il bello e il buono.
 Si manifesta l’intreccio tra due vite. Lo spettatore si accorge che la storia ritorna al suo principio. Il recupero dell’estro compositivo di Mathieu si palesa parallelo al rapido emergere del talento canoro di Pierre Morhange. Denominato faccia d’angelo per i suoi bellissimi occhi azzurri e i biondi capelli, orfano di padre, sembra indelebilmente segnato dalla modestissima condizione familiare e destinato ai margini della società.
 Il ragazzo, inizialmente scettico nei confronti dell’iniziativa corale, viene scoperto casualmente da Mathieu a cantare solitario. Riconosciuto il dono di natura, incomincerà a coltivarlo con lo stupore di colui che ha trovato la perla preziosa nel campo. L’amabile sorvegliante si dimostra in grado di gestire il carattere difficile dell’allievo prediletto e, conquistandone fiducia, lo educherà, purificando l’abilità canora dall’ orgoglio superbo.
 Gran parte della narrazione cinematografica si caratterizza per eloquenti giochi di sguardi tra il maestro del coro e il ragazzo. Sguardi che raccontano i sentimenti che si comunicano, perdono, riconoscenza, stima, amicizia. 


«Esiste bellezza più bella del sogno? Esiste verità più dolce della speranza?». Le parole de la Nuit  di Rameau avviano verso la conclusione del film. Propongono la chiave di lettura di tutto il racconto, il segreto della speranza. Infatti, il film lascia nello spettatore una timida gioia e un’intima speranza. Offre di condividere uno sguardo positivo sulla vita, un oltre da cui spiccare il volo. 

 Pur nella drammaticità delle situazioni descritte, nonostante il grigiore in cui ripiomba la vicenda, pur nell’apparente annientamento di ogni passione e sentimento, si innalza chiaramente un canto nuovo. Nella speranza di un uomo apparentemente fallito, compiutosi nella donazione di sé, trova principio il canto di Pierre e dei suoi compagni, il canto di una vita nuova, un dolce invito ad uno sguardo finalmente rinnovato.