a cura di Claudio
(Beato Paolo VI, S.Messa in italiano ad Ognissanti, Roma, 7 marzo 1965)
La partecipazione
consapevole e fruttuosa
Per rendere la partecipazione del Popolo di
Dio all’azione sacra consapevole di ciò a cui assiste è bene chiarire, seppur brevemente, ciò che
costituisce il culto cristiano del nostro tempo sospeso tra il già e il non ancora.[1]
Individuiamo tre piani.
Il primo è l’essenziale: le parole e le azioni
di Cristo nell’ultima cena sono il centro di tutta la celebrazione liturgica.
La Preghiera eucaristica e la distribuzione dei doni transustanziati sono il
Memoriale, l’attualizzazione del Mysterium
salutis, la realizzazione del Mistero pasquale, Passione, Risurrezione e
Ascensione di Cristo.[2] Infatti,
«La
Liturgia è azione del Christus totus»[3].
La Liturgia è il tempo e il luogo dove Dio va
incontro all’uomo mediante il vero e proprio sacrificio di Gesù Cristo, nel
quale immolandosi incruentemente, offre al Padre tutto se stesso[4].
Il secondo piano, anch’esso indispensabile,
consiste nella dinamica dell’ «offerta che diventa dono perché il corpo dato
nell’amore, il sangue versato nell’amore, mediante la Risurrezione è entrato
nell’eternità dell’amore»[5]. L’atto
di donazione del Figlio sulla croce è totale e si è compiuto «una volta sola,
nella pienezza dei tempi» (cfr. Eb 9, 27). Non è solo un avvenimento
spirituale, ma è anche corporale e si inserisce nell’eterno permanere del
Figlio nella volontà del Padre. Per questo il dolore redentivo del Crocifisso
va oltre il tempo, lo supera e «nell’unico avviene il Permanente»[6].
Il terzo piano comprende la dimensione
escatologica del culto, l’orientamento della vita cristiana. La Liturgia «è
davvero uno squarcio di cielo che si apre sulla terra»[7]. Quando
partecipiamo alla celebrazione eucaristica ci uniamo, accompagnati dalla
Vergine Maria, alla solenne lode a Dio per le innumerevoli schiere dei Santi
della Gerusalemme celeste verso cui siamo diretti come pellegrini, nell’attesa
della beatifica visione del Salvatore[8].
L’incontrarsi dell’uomo con Dio nella
celebrazione pone il cuore nella anelante tensione verso la pienezza di Cristo
alla ricerca del Suo Volto, risponde al Sursum
corda della Chiesa ed insieme ad essa si orienta al Signore nell’attesa
della Sua venuta nella gloria.
Per il celebrante e al Popolo cristiano, la
croce al centro dell’altare può rappresentare un invito forte a rivolgere lo
sguardo verso l’essenziale, verso «Colui che hanno trafitto» (Gv 19,37). La
croce è memoria viva dell’amore smisurato di Dio che, assumendo la condizione
di servo e rendendosi simile agli uomini si fece obbediente fino alla
crocifissione (Cfr. Fil 2,7). Per ogni fedele è segno visibile del Padre
paziente e compassionevole, instancabile nel correrci incontro per stringerci
nell’abbraccio dell’eterna misericordia. Nella tradizione orientale e
occidentale l’altare è simbolo del sepolcro: la croce su di esso diventa
simbolo eloquente del Mistero pasquale. La centralità della croce è la speranza
in cui riposa il cuore cristiano, è la certezza nel ritorno glorioso del
Signore.
Nel Sacrificio dell’altare, come nei
Sacramenti, con le necessarie buone disposizioni dell’anima che vi partecipa, è
«Cristo stesso che
comunica e diffonde la grazia del Capo divino nelle membra del Corpo Mistico»[9].
Lo Spirito Santo opera la comunione di chi vi partecipa in grazia con la Santa
Trinità e, conseguentemente, la comunione fraterna (cfr. 1Gv 1,3-7) [10].
Senza nulla sottrarre al valore catechetico
proprio della celebrazione eucaristica, la Sacrosanctum
Conciulium al numero 35 propone una «catechesi più direttamente liturgica»,
affinchè i fedeli possano essere introdotti al senso dei segni compiuti nei
riti. La catechesi mistagogica appartiene al grande tesoro della tradizione della
Chiesa. Può diventare uno strumento utile per comunicare l’intima e
indispensabile relazione che intercorre tra l’esistenza del credente e il Mistero
pasquale celebrato[11].
La partecipazione attiva
Nell’ Esortazione postsinodale Sacramentum caritatis, Benedetto XVI
denunciava la presenza di alcune incomprensioni riguardo al senso della
partecipazione attiva, specialmente negli ultimi decenni[12]. Non di
rado è stata male interpretata. La pastorale liturgica si è ridotta, talvolta,
alla logica banale del “far fare qualcosa a tutti”, nell’infruttuoso
moltiplicarsi di compiti e ruoli.
Non ci si può dimenticare la natura della
liturgia, spazio caratterizzato dall’agire del Redentore in cui siamo coinvolti
e attirati. Siamo introdotti «nella potenza trasformante di Dio che, attraverso
l’evento liturgico vuole trasformare noi stessi e il mondo»[13]. Per
cogliere l’operare di Dio, però, i fedeli riuniti intorno alla Mensa del
Signore sono chiamati a introdursi nell’oratio,
nella grande preghiera eucaristica. L’azione dell’uomo viene sostituita dall’actio divina. La preghiera
dell’assemblea liturgica muta in supplica alla Maestà Divina affinchè trasformi
chi la compone in corpo di Cristo. Di fronte a Dio che compie l’essenziale,
vera novità della liturgia cristiana. Tutte le nostre azioni sono secondarie[14].
Nel medesimo documento, il Papa richiamava tre
condizioni necessarie per una actuosa
partecipatio ai Sacri Misteri[15]:
l’interiore disponibilità alla conversione, l’intenzione di coinvolgersi nella
vita ecclesiale includente il personale impegno missionario e le disposizioni
dell’anima per ricevere la Comunione.
Anche se apparentemente può sembrare scontato,
la partecipazione attiva al Santo Sacrificio della Messa incomincia prima
dell’inizio della celebrazione. Il desiderio dei cristiani riuniti di
incontrare il Signore si esprime quando il raccoglimento prima e dopo
l’Eucarestia è vissuto e, quindi, visibile. Un’assemblea liturgica raccolta nel
silenzio orante attendente l’inizio della celebrazione può diventare una
efficace testimonianza di fede[16].
Mossa dallo stupore per la grandezza del
Mistero eucaristico, la Chiesa non ha mai risparmiato lo splendore delle arti ai
luoghi di culto. Architettura, scultura e pittura, ispirandosi alla storia
della salvezza, hanno arricchito chiese e oratori diventando utile catechesi
per generazioni di fedeli sulla fede cristiana.
La bellezza non è solo un elemento decorativo
della liturgia ne è fattore costitutivo. Attraverso di essa Dio si rivela al
Suo popolo attraverso il Figlio unigenito, «il più bello tra i figli dell’uomo»
(Sal 45,3). Viene comunicato in modo sublime lo splendore dell’ amore
misericordioso.
Nella Santa Messa il cristiano è chiamato a
seguire Gesù sull’alto monte per vederlo trasfigurato nella gloria. Al credente
è proposti di vivere nuovamente il momento in cui «il suo volto brillò come il
sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17,2). Il discepolo
prostrato contempla il Signore consapevole di stare alla Presenza di Dio. Nelle
Sue mani si abbandona fiducioso.
Scrive Benedetto XVI nella Sacramentum caritatis, «il primo modo con cui si favorisce la
partecipazione del Popolo di Dio al Rito sacro è la celebrazione adeguata del
Rito stesso. L’ars celebrandi è la
miglior condizione per l’actuosa
partecipatio»[17].
Gli strumenti e i segni indicati dalle
norme liturgiche capacitano l’evocazione del Mistero e la cultuale dimensione sacra. Sono espressioni
dell’ecclesialità dell’Eucarestia. Specialmente nei tempi attuali, la loro
osservanza costituisce una testimonianza di obbedienza e di amore per la Chiesa
universale.
A seguito della riforma liturgica, uno
scorretto senso di creatività e di adattamento è stato originante di abusi
liturgici non indifferenti[18]. Il rinnovamento
operato dal Concilio è stato pretesto per dare spazio a elaborazioni personali
dei sacri riti da parte di sacerdoti e operatori pastorali. Se si crede davvero
nella liturgia come il venire incontro di Dio all’uomo allora è necessario
lasciar stabilire al Divino le regole del Suo farsi trovare. La novità della
liturgia cristiana non proviene dalle invenzioni, piuttosto da una realtà da
obbedire nella sua interezza[19].
La liturgia non appartiene a nessuno. La
liturgia è appartenenza. Costituisce un tesoro troppo prezioso per rischiare di
impoverirlo o di comprometterlo attraverso sperimentazioni o pratiche prive di
una verifica scrupolosa ad opera delle competenti Autorità ecclesiastiche. A
nessun sacerdote è consentito di sottovalutare il Mistero affidato, tanto
prezioso che a nessuno è permesso trattarlo secondo il proprio arbitrio, non
rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale[20]. Una
equilibrata arbitrarietà dovuta a ragioni pastorali trova i suoi limiti nel
buonsenso.
Non è sufficiente una pedissequa osservanza
delle norme imposte dal rito. L’Eucharisticum
Mysterium (25 maggio 1967) afferma l’indispensabile spirito di fede e di
adorazione che deve accompagnare il celebrare tale da «inculcare il senso delle
cose sacre»[21]. Anche l’Ordinamento Generale
del Messale Romano specifica che «il sacerdote con il suo modo di comportarsi e di pronunziare le
parole divine, deve far percepire ai fedeli la presenza viva di Cristo»[22].
L’arte del celebrare deve
comprende, quindi, tutto ciò capace di educare il Popolo di Dio al senso del
sacro, dalle vesti liturgiche agli arredi, dal contesto celebrativo al canto
gregoriano. Se il celebrare sarà costantemente ispirato dallo spirito di
adorazione, proveniente dalla coscienza di essere innanzi al Signore realmente,
veramente e sostanzialmente presente, tutto il suo agire, dal muoversi al pregare
in persona Christi, sarà beneficio
spirituale per tutti i fedeli.
[1] j.
ratzinger, Introduzione allo
spirito della liturgia, 51-58
[2] cfr.
ccc 1085
[3] ccc
1136
[4] cfr. pio
xii, Mediator Dei, 55
[5] j.
ratzinger, Introduzione allo
spirito della liturgia, 53
[6] j.
ratzinger, Introduzione allo
spirito della liturgia, 54
[7] giovanni
paolo II, Ecclesia de Eucharestia,19
[8] Cfr. concilio
vaticano ii, Sacrosanctum
Concilium, 8
[9] pio
xii, Mediator Dei, 25
[10] ccc 1104
[11] Cfr. benedetto
XVI, Sacramentum caritatis, 64
[12] Cfr. ivi, 52
[13] j.
ratzinger, Introduzione allo
spirito della liturgia, 171
[14] Cfr. ivi, 169
[15] benedetto
XVI, Sacramentum caritatis, 55
[16]Cfr. ordinamento
generale del messale romano, 45
[17] benedetto
XVI, Sacramentum caritatis, 38
[18] Cfr. giovanni
paolo ii, Ecclesia de Eucharistia,
52
[19] Cfr. j.
ratzinger, Introduzione allo
spirito della liturgia, 165
[20]Cfr. giovanni
paolo ii, Ecclesia de Eucharistia,
51
[21] sacra
congregazione dei riti, Eucharisticum
Mysterium, 20
[22] ordinamento
generale del messale romano, 93