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giovedì 16 aprile 2015

actuosa partecipatio/2

 a cura di Claudio

(Beato Paolo VI, S.Messa in italiano ad Ognissanti, Roma, 7 marzo 1965)

La partecipazione consapevole e fruttuosa
 Per rendere la partecipazione del Popolo di Dio all’azione sacra consapevole di ciò a cui assiste è  bene chiarire, seppur brevemente, ciò che costituisce il culto cristiano del nostro tempo sospeso tra il già e il non ancora.[1] Individuiamo tre piani.
 Il primo è l’essenziale: le parole e le azioni di Cristo nell’ultima cena sono il centro di tutta la celebrazione liturgica. La Preghiera eucaristica e la distribuzione dei doni transustanziati sono il Memoriale, l’attualizzazione del Mysterium salutis, la realizzazione del Mistero pasquale, Passione, Risurrezione e Ascensione di Cristo.[2] Infatti, «La Liturgia è azione del Christus totus»[3].
 La Liturgia è il tempo e il luogo dove Dio va incontro all’uomo mediante il vero e proprio sacrificio di Gesù Cristo, nel quale immolandosi incruentemente, offre al Padre tutto se stesso[4]
 Il secondo piano, anch’esso indispensabile, consiste nella dinamica dell’ «offerta che diventa dono perché il corpo dato nell’amore, il sangue versato nell’amore, mediante la Risurrezione è entrato nell’eternità dell’amore»[5]. L’atto di donazione del Figlio sulla croce è totale e si è compiuto «una volta sola, nella pienezza dei tempi» (cfr. Eb 9, 27). Non è solo un avvenimento spirituale, ma è anche corporale e si inserisce nell’eterno permanere del Figlio nella volontà del Padre. Per questo il dolore redentivo del Crocifisso va oltre il tempo, lo supera e «nell’unico avviene il Permanente»[6]
 Il terzo piano comprende la dimensione escatologica del culto, l’orientamento della vita cristiana. La Liturgia «è davvero uno squarcio di cielo che si apre sulla terra»[7]. Quando partecipiamo alla celebrazione eucaristica ci uniamo, accompagnati dalla Vergine Maria, alla solenne lode a Dio per le innumerevoli schiere dei Santi della Gerusalemme celeste verso cui siamo diretti come pellegrini, nell’attesa della beatifica visione del Salvatore[8].
 L’incontrarsi dell’uomo con Dio nella celebrazione pone il cuore nella anelante tensione verso la pienezza di Cristo alla ricerca del Suo Volto, risponde al Sursum corda della Chiesa ed insieme ad essa si orienta al Signore nell’attesa della Sua venuta nella gloria.
 Per il celebrante e al Popolo cristiano, la croce al centro dell’altare può rappresentare un invito forte a rivolgere lo sguardo verso l’essenziale, verso «Colui che hanno trafitto» (Gv 19,37). La croce è memoria viva dell’amore smisurato di Dio che, assumendo la condizione di servo e rendendosi simile agli uomini si fece obbediente fino alla crocifissione (Cfr. Fil 2,7). Per ogni fedele è segno visibile del Padre paziente e compassionevole, instancabile nel correrci incontro per stringerci nell’abbraccio dell’eterna misericordia. Nella tradizione orientale e occidentale l’altare è simbolo del sepolcro: la croce su di esso diventa simbolo eloquente del Mistero pasquale. La centralità della croce è la speranza in cui riposa il cuore cristiano, è la certezza nel ritorno glorioso del Signore.
 Nel Sacrificio dell’altare, come nei Sacramenti, con le necessarie buone disposizioni dell’anima che vi partecipa, è «Cristo stesso che comunica e diffonde la grazia del Capo divino nelle membra del Corpo Mistico»[9]. Lo Spirito Santo opera la comunione di chi vi partecipa in grazia con la Santa Trinità e, conseguentemente, la comunione fraterna (cfr. 1Gv 1,3-7) [10].
 Senza nulla sottrarre al valore catechetico proprio della celebrazione eucaristica, la Sacrosanctum Conciulium al numero 35 propone una «catechesi più direttamente liturgica», affinchè i fedeli possano essere introdotti al senso dei segni compiuti nei riti. La catechesi mistagogica appartiene al grande tesoro della tradizione della Chiesa. Può diventare uno strumento utile per comunicare l’intima e indispensabile relazione che intercorre tra l’esistenza del credente e il Mistero pasquale celebrato[11].

 La partecipazione attiva
 Nell’ Esortazione postsinodale Sacramentum caritatis, Benedetto XVI denunciava la presenza di alcune incomprensioni riguardo al senso della partecipazione attiva, specialmente negli ultimi decenni[12]. Non di rado è stata male interpretata. La pastorale liturgica si è ridotta, talvolta, alla logica banale del “far fare qualcosa a tutti”, nell’infruttuoso moltiplicarsi di compiti e ruoli.
 Non ci si può dimenticare la natura della liturgia, spazio caratterizzato dall’agire del Redentore in cui siamo coinvolti e attirati. Siamo introdotti «nella potenza trasformante di Dio che, attraverso l’evento liturgico vuole trasformare noi stessi e il mondo»[13]. Per cogliere l’operare di Dio, però, i fedeli riuniti intorno alla Mensa del Signore sono chiamati a introdursi nell’oratio, nella grande preghiera eucaristica. L’azione dell’uomo viene sostituita dall’actio divina. La preghiera dell’assemblea liturgica muta in supplica alla Maestà Divina affinchè trasformi chi la compone in corpo di Cristo. Di fronte a Dio che compie l’essenziale, vera novità della liturgia cristiana. Tutte le nostre azioni sono secondarie[14].
 Nel medesimo documento, il Papa richiamava tre condizioni necessarie per una actuosa partecipatio ai Sacri Misteri[15]: l’interiore disponibilità alla conversione, l’intenzione di coinvolgersi nella vita ecclesiale includente il personale impegno missionario e le disposizioni dell’anima per ricevere la Comunione.
 Anche se apparentemente può sembrare scontato, la partecipazione attiva al Santo Sacrificio della Messa incomincia prima dell’inizio della celebrazione. Il desiderio dei cristiani riuniti di incontrare il Signore si esprime quando il raccoglimento prima e dopo l’Eucarestia è vissuto e, quindi, visibile. Un’assemblea liturgica raccolta nel silenzio orante attendente l’inizio della celebrazione può diventare una efficace testimonianza di fede[16].
 Mossa dallo stupore per la grandezza del Mistero eucaristico, la Chiesa non ha mai risparmiato lo splendore delle arti ai luoghi di culto. Architettura, scultura e pittura, ispirandosi alla storia della salvezza, hanno arricchito chiese e oratori diventando utile catechesi per generazioni di fedeli sulla fede cristiana.
 La bellezza non è solo un elemento decorativo della liturgia ne è fattore costitutivo. Attraverso di essa Dio si rivela al Suo popolo attraverso il Figlio unigenito, «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 45,3). Viene comunicato in modo sublime lo splendore dell’ amore misericordioso.
 Nella Santa Messa il cristiano è chiamato a seguire Gesù sull’alto monte per vederlo trasfigurato nella gloria. Al credente è proposti di vivere nuovamente il momento in cui «il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17,2). Il discepolo prostrato contempla il Signore consapevole di stare alla Presenza di Dio. Nelle Sue mani si abbandona fiducioso.

 Scrive Benedetto XVI nella Sacramentum caritatis, «il primo modo con cui si favorisce la partecipazione del Popolo di Dio al Rito sacro è la celebrazione adeguata del Rito stesso. L’ars celebrandi è la miglior condizione per l’actuosa partecipatio»[17].
Gli strumenti e i segni indicati dalle norme liturgiche capacitano l’evocazione del Mistero e  la cultuale dimensione sacra. Sono espressioni dell’ecclesialità dell’Eucarestia. Specialmente nei tempi attuali, la loro osservanza costituisce una testimonianza di obbedienza e di amore per la Chiesa universale.
 A seguito della riforma liturgica, uno scorretto senso di creatività e di adattamento è stato originante di abusi liturgici non indifferenti[18]. Il rinnovamento operato dal Concilio è stato pretesto per dare spazio a elaborazioni personali dei sacri riti da parte di sacerdoti e operatori pastorali. Se si crede davvero nella liturgia come il venire incontro di Dio all’uomo allora è necessario lasciar stabilire al Divino le regole del Suo farsi trovare. La novità della liturgia cristiana non proviene dalle invenzioni, piuttosto da una realtà da obbedire nella sua interezza[19].
 La liturgia non appartiene a nessuno. La liturgia è appartenenza. Costituisce un tesoro troppo prezioso per rischiare di impoverirlo o di comprometterlo attraverso sperimentazioni o pratiche prive di una verifica scrupolosa ad opera delle competenti Autorità ecclesiastiche. A nessun sacerdote è consentito di sottovalutare il Mistero affidato, tanto prezioso che a nessuno è permesso trattarlo secondo il proprio arbitrio, non rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale[20]. Una equilibrata arbitrarietà dovuta a ragioni pastorali trova i suoi limiti nel buonsenso.
 Non è sufficiente una pedissequa osservanza delle norme imposte dal rito. L’Eucharisticum Mysterium (25 maggio 1967) afferma l’indispensabile spirito di fede e di adorazione che deve accompagnare il celebrare tale da «inculcare il senso delle cose sacre»[21]. Anche l’Ordinamento Generale del Messale Romano specifica che «il sacerdote con il suo modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine, deve far percepire ai fedeli la presenza viva di Cristo»[22].
 L’arte del celebrare deve comprende, quindi, tutto ciò capace di educare il Popolo di Dio al senso del sacro, dalle vesti liturgiche agli arredi, dal contesto celebrativo al canto gregoriano. Se il celebrare sarà costantemente ispirato dallo spirito di adorazione, proveniente dalla coscienza di essere innanzi al Signore realmente, veramente e sostanzialmente presente, tutto il suo agire, dal muoversi al pregare in persona Christi, sarà beneficio spirituale per tutti i fedeli.



[1] j. ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, 51-58
[2] cfr. ccc 1085
[3] ccc 1136
[4] cfr. pio xii, Mediator Dei, 55
[5] j. ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, 53
[6] j. ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, 54
[7] giovanni paolo II, Ecclesia de Eucharestia,19
[8] Cfr. concilio vaticano ii, Sacrosanctum Concilium, 8
[9] pio xii, Mediator Dei, 25
[10] ccc 1104
[11] Cfr. benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 64
[12] Cfr. ivi, 52
[13] j. ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, 171
[14] Cfr. ivi, 169
[15] benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 55
[16]Cfr. ordinamento generale del messale romano, 45
[17] benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 38
[18] Cfr. giovanni paolo ii, Ecclesia de Eucharistia, 52
[19] Cfr. j. ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, 165
[20]Cfr. giovanni paolo ii, Ecclesia de Eucharistia, 51
[21] sacra congregazione dei riti, Eucharisticum Mysterium, 20
[22] ordinamento generale del messale romano, 93