Post più letti

giovedì 29 ottobre 2015

L'amicizia nell'identità sacerdotale - seconda parte


a cura di Marcus

La virtù dell’amicizia nel sacerdote


 Il sacerdote è uomo che vive nel mondo ma il suo essere non è orientato ad esso, secondo le parole di Cristo, «non siete del mondo, ma vi ho scelti dal mondo» (Gv 15,19). Deve sempre tendere a rendere le relazioni rifrazione della vita trinitaria. Similmente alle relazioni d’amore sussistenti fra le persone divine, così devono formarsi i rapporti con i suoi prossimi.
 Si possono individuare molteplici dimensioni d’amore: l’amore sponsale, quello filiale, le salde relazioni d’amicizia e l’amore per e di Dio. L’amore per Dio e per il prossimo si completano a vicenda. Il primo include e avvalora il secondo.
 La tensione verso un amore trascendente non deve far trascurare l’esistenza dell’amore umano, la cui finitezza costituisce un limite nel quale ciascuno deve sottostare (si pensi, semplicemente, alla dimensione spaziale e temporale).
 Il numero finito delle persone che possiamo conoscere e amare veramente ci rammenta tale limite. Allo stesso tempo aumenta il desiderio per Dio, il cui amore eterno supera ogni ostacolo storico. Per l’uomo, l’amore per l’altro è un bisogno. Affermare la sufficienza dell’amore divino, negando la necessità dell’affetto tra gli uomini, significa dimenticare che questa seconda faccia del comandamento della carità non può essere concepita separatamente dalla prima. Nelle relazioni quotidiane di affetto si impara a tessere il rapporto con l’Amore.
 Dunque, è importante ricordare che nell’amicizia, l’amore e l’affetto non devono essere ricondotti alla sfera sessuale, ne sono testimonianza le relazioni filiali e amicali, dove un abbraccio o una carezza pur essendo un piacere per l’anima e per il corpo non coinvolgono l’ambito del desiderio sessuale.
 La prima struttura dell’amore è la relazione. Per il sacerdote la ricerca e la cura del rapporto con l’altro - come per ogni battezzato - deve essere una scelta fondamentale; domanda un cammino di maturazione umana e spirituale. Una relazione interpersonale, infatti, necessita costantemente di cura e di un coinvolgimento costante. In particolare, la persona che incontra il bisogno di relazione deve saper mediare la soddisfazione personale e il senso del limite originato dalle condizioni reali della vita.  
 A riguardo, il sacerdote milanese Gino Rigoldi scrive:
Ogni forma di amore nasce per qualche affinità, cresce e si stabilizza se diventa decisione e cura. Credo che stia qui il problema: la scelta della ricerca e dell’offerta affettiva vissuta come un grande, necessario, legittimo bene contrapposto a una equidistanza affettiva spacciata, troppo spesso, come virtù. Per tutti può significare - e spesso significa, per nessuno[1].
 La dimensione affettiva è punto nevralgico nell’esistenza umana, quindi, anche del sacerdote, tanto più perche è caratterizzata dalla libera scelta del celibato.
 Affinché l’amicizia possa perfezionare l’identità contribuendo alla crescita nella santità, occorre che essa sia davvero virtuosa: solo se accade ciò, il rapporto servirà a sostenere e rendere più fruttuoso il dono del sacerdozio.
 L’esercizio della virtù nell’ambito affettivo è garanzia che protegge dal rischio del possesso, del potere e della ricerca di stima che possono sorgere lungo gli anni del ministero. Invidia, gelosia e autoreferenzialità sono le ragioni più frequenti della rottura di un rapporto. Possiamo parlare di una virtuosità del legame affettivo, non solo per quanto concerne la sua genesi, ma anche per la sua capacità di stimolare e maturare le stesse virtù che l’hanno originato. Il senso più vero dell’amicizia virtuosa si può individuare nell’aiutare l’altro a diventare se stesso, anche se questo comporta la limitazione della propria libertà. Un rapporto amicale, dunque, mostra la sua virtuosità quando tra coloro che si ritengono amici si esercita un’influenza vicendevole, mediante il consiglio e la correzione. Ciò è possibile perché nell’amicizia si orientano le proprie attività e il gusto personale all’altro e offrendo la possibilità di imitazione ed emulazione. Dato che è più facile conoscere l’altro che se stessi, in un rapporto di amicizia è più semplice che la correzione vicendevole venga offerta e accolta. Un aspetto centrale che determina e caratterizza l’amicizia è la fiducia. «La fiducia degli amici è qualcosa di analogo alla fede - non a caso la parola fiducia deriva da fede - e permette di accettare la parola dell’amico come se si fosse visto con i propri occhi quanto egli ci comunica»[2].
 Spesso il sacerdote è costretto a condurre una vita molto intensa, dove i rapporti quotidiani sono numerosissimi: tutti si aspettano di ricevere da lui quanto chiedono e, alla fine della giornata, si può ritrovare in una condizione di vuoto affettivo. La tensione alla condivisione della vita caratterizza la vocazione del prete e la vita del cristiano più in generale. Nessuno, infatti, può salvarsi prescindendo dal rapporto con gli altri, poiché da esso dipende il rapporto con Dio: «Se uno dicesse: ‘Io amo Dio’ e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4,20).
 Dai primi istanti di vita, l’uomo è inserito in un contesto sociale. La famiglia, infatti, costituisce quella dimensione relazionale nella quale l’uomo può crescere e svilupparsi come individuo: si autodetermina entrando a far parte di quella comunione di persone che lo hanno generato. Dio ha scelto di affidare alla famiglia il futuro dell’umanità[3]. Mostrando e donando il legame che sussiste fra gli esseri umani sin dalla nascita, Dio risponde al grido di Adamo il quale, nonostante si trovi già in relazione con il resto della creazione, è attraversato da un senso di solitudine profonda, unicamente colmabile in seguito all’accoglienza della donna: «Questa volta essa è carne della mia carne, ossa delle mie ossa» (Gen 2,23). Prima di essere una meta da raggiungere, la comunione fra gli uomini costituisce una dimensione ontologica essenziale.
 Tale dimensione relazionale dell’uomo apparentemente solo orizzontale, non esula dal rapporto con Dio, ma lo favorisce: è in Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, che viene a ristabilirsi la comunione già infranta dai progenitori. L’altro può entrare in relazione con me non solo per volontà divina. Diventa necessario alla formazione della mia identità di figlio, di cristiano.
 Non è scontato che accada tutto ciò anche per il sacerdote. Qualcuno può arrivare ad elevare a virtù il suo essere anaffettivo, quasi algido nei rapporti con il prossimo nello scegliere di non legarsi a nessuno. La rinuncia all’amicizia non è un atto eroico, ma un rifiutare la gioia e in ultima istanza il rapporto pesonale con Dio. L’amicizia, quindi, è un legame che permette di vivere meglio il celibato, aprendosi maggiormente agli altri nella testimonianza di un cristianesimo autenticamente gioioso.
 A partire dalla definizione di Cicerone di amicizia, «fruizione comune di beni umani e divini», si comprende come essa costituisca una condivisone terrena comprendente la ricerca di Dio. Florenskij scrive che «il fatto che ci siano fratelli, per quanto amati, non elimina la necessità di un amico. Per vivere tra fratelli bisogna avere un amico, anche lontano»[4]. La prova per capire se l’amicizia è vera è considerare se rende il soggetto più responsabile e più libero nella dedizione. Realizzare di essere parte della storia della Chiesa, sostenuto da volti cari, dona all’esistenza un respiro più ampio.
 Alla base di quest’ultima, infatti, è sotteso il principio dell’elezione. L’amicizia, dunque, non è mai qualcosa di scontato: è dono del Signore, non può essere concepita come un diritto. La storia del popolo d’Israele mostra il procedere dell’agire di Dio: per raggiungere l’umanità e rivelarsi elegge un popolo, scegliendolo secondo una logica di preferenza. Adonai non si limitò e prediligere un popolo. Scelse alcuni al suo interno, instaurando un rapporto preferenziale a favore di tutto popolo. La modalità con la quale Dio opera nella vita è la stessa: «l’amicizia, perciò, è il segno più imponente che Dio, attraverso l’attrattiva che suscita nella nostra vita per alcune cose, per alcuni lavori, per certe persone, ci segnala una strada su cui camminare»[5]. Dunque, il sacerdote, chiamato a un rapporto personale e profondo con il Signore, non può concepire la propria vita spirituale prescindendo da quella affettiva che passa necessariamente per una via di preferenza. Come per qualsiasi uomo, anche per un sacerdote è impossibile voler bene a tutti indistintamente, nel medesimo modo.
 Riprendendo la definizione classica, quando si tratta di amore si distinguono eros, philia ed agape. Se il primo termine è usato per indicare l’amore nella sua dimensione maggiormente orizzontale, discendente, elettiva, esclusiva, fisica, corporea e sessuale, il terzo (e forse in parte anche il secondo) definisce un rapporto verticale, ascendente, metafisico, spirituale e trascendente, forse già più astratto e intellettuale. Se philia dice il rapporto di amicizia e nel Nuovo Testamento indica il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli, agape, invece, è utilizzato nel linguaggio biblico per descrivere l’amore divino e per Dio in tutte le sue dimensioni.
 La cultura contemporanea accusa spesso il cristianesimo di aver diviso la dimensione erotica da quella agapica. Non è un caso se Benedetto XVI ha dedicato il suo primo atto magisteriale - l'enciclica Deus Caritas est - all’amore, cercando di mostrare l’unità profonda che esiste tra queste due dimensioni a partire dalla tradizione biblica e ancor di più dall’evento cristologico, paradigma dell’amore oblativo, ossia l’insieme di eros ed agape:
L’aspetto filosofico e storico–religioso da rilevare in questa visione della Bibbia sta nel fatto che, da una parte, ci troviamo di fronte ad un’immagine strettamente metafisica di Dio: Dio è in assoluto la sorgente originaria di ogni essere; ma questo principio creativo di tutte le cose – il Logos, la ragione primordiale – è al contempo un amante con tutta la passione di un vero amore. In questo modo l’eros è nobilitato al massimo, ma contemporaneamente così purificato da fondersi con l’agape […]: sì, esiste una unificazione dell’uomo con Dio – il sogno originario dell’uomo –, ma questa unificazione non è un fondersi insieme, un affondare nell’oceano anonimo del Divino, è unità che crea amore, in cui entrambi – Dio e uomo – restano se stessi e tuttavia diventano pienamente una cosa sola: «Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito» dice san Paolo (1Cor 6,17)[6].
 Nella scelta celibataria del sacerdote, l’energia affettiva non viene vissuta nell’amore matrimoniale, cosicché, secondo le categorie post-contemporanee, la dimensione erotica dell’amore sembra venir meno. In merito, il Papa risponde a tale diffusa obiezione, mostrando come non esista, in realtà, amore autentico che non sia nello stesso tempo erotico e agapico.
 L’amore a cui è chiamato il sacerdote comprende in sé entrambe le dimensione. L’affettività del sacerdote trova nell’amore amicale - la philia - la giusta strada per compiersi ed essere autenticamente rivolta a Dio e ai fratelli. L’amicizia, dunque, si rivela ancora una volta come una delle forme più nobili di amore con la quale il sacerdote si compie.
 Se non possiamo scindere tale forma di amore nelle altre due, è ancor più necessario guardarsi dal rischio di confonderla o mischiarla con le stesse. Come ogni altro uomo, il sacerdote che ama un amico è chiamato ad una salda maturità interiore e nel costante impegno ad educare sempre la propria affettività.
 Parlando della vita religiosa, il Concilio Vaticano II, afferma «sappiamo tutti, specialmente i superiori, che la castità si potrà custodire più sicuramente, se i religiosi nella vita comune sapranno praticare un vero amore fraterno tra loro»[7]. Il decreto Perfectae Caritatis si rivolge alla vita dei consacrati. Può essere esteso facilmente ed applicato al clero secolare latino, chiamato ad una vita celibataria. La vita affettiva del religioso è orientata verso quanti condividono con lui la giornata, cioè la comunità. Per analogia, il clero secolare trova la prima comunità di appartenenza nel presbiterio diocesano e non esclusivamente nella porzione del gregge affidato alle sue cure. Il suo primo supporto affettivo gli sarà donato dalle relazioni vissute nel presbiterio. Dunque, è importante che nascano dei rapporti di amicizia capaci di accompagnare la vita sacerdotale, a partire da quell’ordine a cui il sacerdote appartiene. La semplice fratellanza o solidarietà tra membri risulta insufficiente. Troppo facilmente può esaurirsi in formalismo e indifferenza.
È necessaria l’amicizia. Solo questa può condurre autenticamente l’esistenza sacerdote al vero compimento affettivo e quindi umano, creando un vincolo reale di appartenenza alla propria specifica comunità, l’ordine. Anche nel caso di un’amicizia tra preti si presuppone una preferenza, cioè una dimensione erotica che può e deve raggiunge la pienezza e la dimensione agapica, riferendosi e finalizzandosi al compimento del sacerdozio.





[1] G. Rigoldi, La necessità di amare, 42.
[2] A. Malo, L’amicizia come necessità essenziale delle persone, 98.
[3] M. Camisasca, Padre, 149.
[4] P. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, 477.
[5] M. Camisasca, Padre, 168.
[6] Benedetto XVI, Deus Caritas est, 10.
[7] Concilio Ecumenico Vaticano II, Perfectae Caritatis, 12.