a cura di Marcus
La virtù
dell’amicizia nel sacerdote
Il sacerdote è uomo che vive nel mondo ma il
suo essere non è orientato ad esso, secondo le parole di Cristo, «non siete del
mondo, ma vi ho scelti dal mondo» (Gv 15,19). Deve sempre tendere a rendere le relazioni rifrazione della vita
trinitaria. Similmente alle relazioni d’amore sussistenti fra le persone
divine, così devono formarsi i rapporti con i suoi prossimi.
Si possono individuare molteplici dimensioni
d’amore: l’amore sponsale, quello filiale, le salde relazioni d’amicizia e l’amore per e di Dio. L’amore per Dio e per il prossimo si completano
a vicenda. Il primo include e avvalora il secondo.
La tensione verso un amore trascendente non
deve far trascurare l’esistenza dell’amore umano, la cui finitezza costituisce un
limite nel quale ciascuno deve sottostare (si pensi, semplicemente, alla dimensione
spaziale e temporale).
Il numero finito delle persone che possiamo
conoscere e amare veramente ci rammenta tale limite. Allo stesso tempo aumenta
il desiderio per Dio, il cui amore eterno supera ogni ostacolo storico. Per
l’uomo, l’amore per l’altro è un bisogno. Affermare la sufficienza dell’amore
divino, negando la necessità dell’affetto tra gli uomini, significa dimenticare
che questa seconda faccia del comandamento della carità non può essere
concepita separatamente dalla prima. Nelle relazioni quotidiane di affetto si
impara a tessere il rapporto con l’Amore.
Dunque, è importante ricordare che
nell’amicizia, l’amore e l’affetto non devono essere ricondotti alla sfera
sessuale, ne sono testimonianza le relazioni filiali e amicali, dove un
abbraccio o una carezza pur essendo un piacere per l’anima e per il corpo non
coinvolgono l’ambito del desiderio sessuale.
La prima struttura dell’amore è la relazione. Per il sacerdote la ricerca e
la cura del rapporto con l’altro - come per ogni battezzato - deve essere una
scelta fondamentale; domanda un cammino di maturazione umana e spirituale. Una
relazione interpersonale, infatti, necessita costantemente di cura e di un
coinvolgimento costante. In particolare, la persona che incontra il bisogno di
relazione deve saper mediare la soddisfazione personale e il senso del limite originato
dalle condizioni reali della vita.
A riguardo, il sacerdote milanese Gino Rigoldi
scrive:
Ogni forma di amore nasce per
qualche affinità, cresce e si stabilizza se diventa decisione e cura. Credo che
stia qui il problema: la scelta della ricerca e dell’offerta affettiva vissuta
come un grande, necessario, legittimo bene contrapposto a una equidistanza
affettiva spacciata, troppo spesso, come virtù. Per tutti può significare - e spesso significa, per nessuno[1].
La dimensione affettiva è punto nevralgico nell’esistenza
umana, quindi, anche del sacerdote, tanto più perche è caratterizzata dalla libera
scelta del celibato.
Affinché l’amicizia possa perfezionare
l’identità contribuendo alla crescita nella santità, occorre che essa sia
davvero virtuosa: solo se accade ciò, il rapporto servirà a sostenere e rendere
più fruttuoso il dono del sacerdozio.
L’esercizio della virtù nell’ambito affettivo
è garanzia che protegge dal rischio del possesso, del potere e della ricerca di
stima che possono sorgere lungo gli anni del ministero. Invidia, gelosia e
autoreferenzialità sono le ragioni più frequenti della rottura di un rapporto.
Possiamo parlare di una virtuosità del
legame affettivo, non solo per quanto concerne la sua genesi, ma anche per la
sua capacità di stimolare e maturare le stesse virtù che l’hanno originato. Il
senso più vero dell’amicizia virtuosa si può individuare nell’aiutare l’altro a
diventare se stesso, anche se questo comporta la limitazione della propria
libertà. Un rapporto amicale, dunque, mostra la sua virtuosità quando tra
coloro che si ritengono amici si
esercita un’influenza vicendevole, mediante il consiglio e la correzione. Ciò è
possibile perché nell’amicizia si orientano le proprie attività e il gusto personale
all’altro e offrendo la possibilità di imitazione ed emulazione. Dato che è più
facile conoscere l’altro che se stessi, in un rapporto di amicizia è più
semplice che la correzione vicendevole venga offerta e accolta. Un aspetto
centrale che determina e caratterizza l’amicizia è la fiducia. «La fiducia
degli amici è qualcosa di analogo alla fede - non a caso la parola fiducia
deriva da fede - e permette di
accettare la parola dell’amico come se si fosse visto con i propri occhi quanto
egli ci comunica»[2].
Spesso il sacerdote è costretto a condurre una
vita molto intensa, dove i rapporti quotidiani sono numerosissimi: tutti si
aspettano di ricevere da lui quanto chiedono e, alla fine della giornata, si
può ritrovare in una condizione di vuoto
affettivo. La tensione alla condivisione della vita caratterizza la
vocazione del prete e la vita del cristiano più in generale. Nessuno, infatti,
può salvarsi prescindendo dal rapporto con gli altri, poiché da esso dipende il
rapporto con Dio: «Se uno dicesse: ‘Io amo Dio’ e odiasse il suo fratello, è un
mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio
che non vede» (1Gv 4,20).
Dai primi istanti di vita, l’uomo è inserito
in un contesto sociale. La famiglia, infatti, costituisce quella dimensione
relazionale nella quale l’uomo può crescere e svilupparsi come individuo: si autodetermina
entrando a far parte di quella comunione di persone che lo hanno generato. Dio ha
scelto di affidare alla famiglia il futuro dell’umanità[3].
Mostrando e donando il legame che sussiste fra gli esseri umani sin dalla
nascita, Dio risponde al grido di Adamo il quale, nonostante si trovi già in
relazione con il resto della creazione, è attraversato da un senso di
solitudine profonda, unicamente colmabile in seguito all’accoglienza della
donna: «Questa volta essa è carne della mia carne, ossa delle mie ossa» (Gen
2,23). Prima di essere una meta da raggiungere, la comunione fra gli uomini costituisce
una dimensione ontologica essenziale.
Tale dimensione relazionale dell’uomo apparentemente
solo orizzontale, non esula dal rapporto con Dio, ma lo favorisce: è in Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, che
viene a ristabilirsi la comunione già infranta dai progenitori. L’altro può
entrare in relazione con me non solo per volontà divina. Diventa necessario
alla formazione della mia identità di figlio, di cristiano.
Non è scontato che accada tutto ciò anche per
il sacerdote. Qualcuno può arrivare ad elevare a virtù il suo essere anaffettivo, quasi algido nei rapporti
con il prossimo nello scegliere di non legarsi a nessuno. La rinuncia
all’amicizia non è un atto eroico, ma un rifiutare la gioia e in ultima istanza
il rapporto pesonale con Dio. L’amicizia, quindi, è un legame che permette di
vivere meglio il celibato, aprendosi maggiormente agli altri nella
testimonianza di un cristianesimo autenticamente gioioso.
A partire dalla definizione di Cicerone di amicizia, «fruizione comune di beni
umani e divini», si comprende come essa costituisca una condivisone terrena comprendente
la ricerca di Dio. Florenskij scrive che «il fatto che ci siano fratelli, per
quanto amati, non elimina la necessità di un amico. Per vivere tra fratelli
bisogna avere un amico, anche lontano»[4]. La
prova per capire se l’amicizia è vera è considerare se rende il soggetto più
responsabile e più libero nella dedizione. Realizzare di essere parte della
storia della Chiesa, sostenuto da volti cari, dona all’esistenza un respiro più
ampio.
Alla base di quest’ultima, infatti, è sotteso
il principio dell’elezione.
L’amicizia, dunque, non è mai qualcosa di scontato: è dono del Signore, non può
essere concepita come un diritto. La storia del popolo d’Israele mostra il
procedere dell’agire di Dio: per raggiungere l’umanità e rivelarsi elegge un
popolo, scegliendolo secondo una logica di preferenza. Adonai non si limitò e prediligere un popolo. Scelse alcuni al suo
interno, instaurando un rapporto preferenziale a favore di tutto popolo. La
modalità con la quale Dio opera nella vita è la stessa: «l’amicizia, perciò, è
il segno più imponente che Dio, attraverso l’attrattiva che suscita nella
nostra vita per alcune cose, per alcuni lavori, per certe persone, ci segnala
una strada su cui camminare»[5]. Dunque,
il sacerdote, chiamato a un rapporto personale e profondo con il Signore, non
può concepire la propria vita spirituale prescindendo da quella affettiva che
passa necessariamente per una via di preferenza. Come per qualsiasi uomo, anche
per un sacerdote è impossibile voler bene a tutti indistintamente, nel medesimo
modo.
Riprendendo la definizione classica, quando si
tratta di amore si distinguono eros, philia ed agape. Se il
primo termine è usato per indicare l’amore nella sua dimensione maggiormente
orizzontale, discendente, elettiva, esclusiva, fisica, corporea e sessuale, il
terzo (e forse in parte anche il secondo) definisce un rapporto verticale,
ascendente, metafisico, spirituale e trascendente, forse già più astratto e
intellettuale. Se philia dice il
rapporto di amicizia e nel Nuovo Testamento indica il rapporto tra Gesù e i
suoi discepoli, agape, invece, è utilizzato
nel linguaggio biblico per descrivere l’amore divino e per Dio in tutte le sue
dimensioni.
La cultura contemporanea accusa spesso il
cristianesimo di aver diviso la dimensione erotica da quella agapica. Non è un
caso se Benedetto XVI ha dedicato il suo primo atto magisteriale - l'enciclica Deus Caritas est - all’amore, cercando
di mostrare l’unità profonda che esiste tra queste due dimensioni a partire
dalla tradizione biblica e ancor di più dall’evento cristologico, paradigma
dell’amore oblativo, ossia l’insieme di eros
ed agape:
L’aspetto filosofico e
storico–religioso da rilevare in questa visione della Bibbia sta nel fatto che,
da una parte, ci troviamo di fronte ad un’immagine strettamente metafisica di
Dio: Dio è in assoluto la sorgente originaria di ogni essere; ma questo
principio creativo di tutte le cose – il Logos,
la ragione primordiale – è al contempo un amante con tutta la passione di un
vero amore. In questo modo l’eros è nobilitato al massimo, ma
contemporaneamente così purificato da fondersi con l’agape […]: sì, esiste una unificazione dell’uomo con Dio – il sogno
originario dell’uomo –, ma questa unificazione non è un fondersi insieme, un
affondare nell’oceano anonimo del Divino, è unità che crea amore, in cui
entrambi – Dio e uomo – restano se stessi e tuttavia diventano pienamente una
cosa sola: «Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito» dice san
Paolo (1Cor 6,17)[6].
Nella scelta celibataria del sacerdote,
l’energia affettiva non viene vissuta nell’amore matrimoniale, cosicché,
secondo le categorie post-contemporanee, la dimensione erotica dell’amore
sembra venir meno. In merito, il Papa risponde a tale diffusa obiezione, mostrando
come non esista, in realtà, amore autentico che non sia nello stesso tempo
erotico e agapico.
L’amore a cui è chiamato il sacerdote
comprende in sé entrambe le dimensione. L’affettività del sacerdote trova
nell’amore amicale - la philia - la
giusta strada per compiersi ed essere autenticamente rivolta a Dio e ai
fratelli. L’amicizia, dunque, si rivela ancora una volta come una delle forme
più nobili di amore con la quale il sacerdote si compie.
Se non possiamo scindere tale forma di amore nelle
altre due, è ancor più necessario guardarsi dal rischio di confonderla o
mischiarla con le stesse. Come ogni altro uomo, il sacerdote che ama un amico è
chiamato ad una salda maturità interiore e nel costante impegno ad educare sempre
la propria affettività.
Parlando della vita religiosa, il Concilio
Vaticano II, afferma «sappiamo tutti, specialmente i superiori, che la castità
si potrà custodire più sicuramente, se i religiosi nella vita comune sapranno
praticare un vero amore fraterno tra loro»[7].
Il decreto Perfectae Caritatis si
rivolge alla vita dei consacrati. Può essere esteso facilmente ed applicato al
clero secolare latino, chiamato ad una vita celibataria. La vita affettiva del
religioso è orientata verso quanti condividono con lui la giornata, cioè la
comunità. Per analogia, il clero secolare trova la prima comunità di
appartenenza nel presbiterio diocesano
e non esclusivamente nella porzione del gregge affidato alle sue cure. Il suo
primo supporto affettivo gli sarà donato dalle relazioni vissute nel
presbiterio. Dunque, è importante che nascano dei rapporti di amicizia capaci
di accompagnare la vita sacerdotale, a partire da quell’ordine a cui il
sacerdote appartiene. La semplice fratellanza o solidarietà tra membri risulta
insufficiente. Troppo facilmente può esaurirsi in formalismo e indifferenza.
È
necessaria l’amicizia. Solo questa può condurre autenticamente l’esistenza
sacerdote al vero compimento affettivo e
quindi umano, creando un vincolo reale di appartenenza alla propria
specifica comunità, l’ordine. Anche nel caso di un’amicizia tra preti si
presuppone una preferenza, cioè una dimensione erotica che può e deve raggiunge
la pienezza e la dimensione agapica, riferendosi e finalizzandosi al compimento
del sacerdozio.
[1] G. Rigoldi,
La necessità di amare, 42.
[2] A. Malo,
L’amicizia come necessità essenziale
delle persone, 98.
[3] M. Camisasca,
Padre, 149.
[4] P. Florenskij,
La colonna e il fondamento della verità,
477.
[5] M. Camisasca,
Padre, 168.
[6] Benedetto XVI,
Deus Caritas est, 10.
[7] Concilio
Ecumenico Vaticano II, Perfectae
Caritatis, 12.